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Southern nights in New Orleans

“Non gliene frega niente a nessuno di cosa fai a New Orleans, ma tutti vogliono sapere cos’è”
('Notti del sud', Barry Gifford)

Barry Gifford, Notti del sud
[Jimenez Edizioni, pp.452]


- a cura di Fabio Cerbone -

Storie pervase da un forte surrealismo, ironiche e violente al tempo stesso, solo in apparenza dominate da un senso del grottesco che in verità si svela, pagina dopo pagina, più reale della realtà stessa. Le Notti del Sud di Barry Gifford sono l’esempio più calzante di rock’n’roll applicato alla letteratura che vi possa capitare a tiro. È impossibile (e inutile, credetemi) raccontarne la trama: potrebbe essere una sceneggiatura mancata di un film di Quentin Tarantino, con relativa colonna sonora (le canzoni qui spuntano dappertutto), infarcita di dialoghi clamorosi, degni di maestri come Elmore Leonard. Un toccasana in questo disgraziato 2020 e soprattutto uno dei recuperi più doverosi che l’editoria italiana (Jimenez, sempre attenta ai “bassifondi” e agli outsider in circolazione) abbia sfoderato di recente.

Non può e non deve passare inosservato Notti del Sud, soprattutto se avete un debole per il lato nascosto dell’America: una raccolta di tre lunghi racconti o romanzi brevi, fate voi, che Gifford stesso ha voluto recentemente riunire in un’unica antologia (Southern Nights, il titolo originale, e lo spirito di Allen Toussant ringrazia sentitamente, insieme alle luci della “Big Easy”), in principio pubblicato nella prima metà degli anni Novanta con i titoli di Gente di Notte (Night People), Alzati e Cammina (Arise and Walk) e Baby Cat-Face. Sono pagine legate fra loro in maniera naturale, non solo per lo stile e l’ambientazione sudista, New Orleans e paraggi, sconfinando qualche volta nel Mississippi, ma anche per il rincorrersi dei personaggi, che spesso riappaiono come fantasmi nel romanzo successivo, oppure cedono il testimone a qualche discendente in linea diretta o indiretta. E così Notti del Sud si trasforma in un’unico, corale blues delle paludi, dove a un certo punto spuntano anche Sailor e Lula, i giovani e ribelli innamorati che avrebbero avuto la loro consacrazione nel romanzo Wild at Heart, quei “Cuori Selvaggi” portati sul grande schermo da David Lynch, con la collaborazione dello stesso Gifford alla sceneggiatura, e che nel 1990 si aggiudicarono la Palma d’Oro a Cannes. E non è un caso che un signore come Lynch si sia invaghito delle storie di Gifford: sembrano abitare quei luoghi americani spiazzanti, folli e perduti che con una certa predilezione per l’onirico e il bizzarro hanno dominato anche la produzione del cineasta.

Le Notti del Sud di Gifford sono spesso più concrete negli effetti, si accavallano tra i quartieri malfamati di New Orleans, i suoi locali dove bere ad ogni ora del giorno, le strade invase da papponi e prostitute, travestititi e ubriaconi, femministe vendicative e predicatori da strapazzo, le tavole calde e i negozi di liquori e armi, le stazioni di servizio e, dulcis in fundo, le chiese. Tante chiese, di ogni origine e ispirazione (quella della Mano Destra e quella della Mano Sinistra, quella del Punto e a Capo e quella degli Ingrati, per arrivare al Tempio degli Eletti Purificati dal Sangue di Madre Bizco), quasi un’ossessione per Barry Gifford, tanto quanto il suo affetto per i caratteri femminili, che si fa strada fino a deflagrare nel terzo capitolo di Baby Cat-Face, il più connesso con lo spirito voodoo di New Orleans. E anche qui, manco a dirlo, la religione sembra assumere toni stravaganti, quelli di un’America ossessionata dal peccato e dalla redenzione, dove i personaggi si muovo fra improbabili citazioni bibliche del Vecchio Testamento, lettere scritte a Gesù Nostra Signora e condanne senza appello, che li portano a gesti incolsulti, a omicidi riparatori e di vendetta, a veri e propri castighi divini dispensati come sacramenti.

Ecco, i personaggi, è tutta un questione di personaggi in Notti del Sud, tracciati con identikit precisi in ogni capitolo: qui la gente si chiama con nomignoli come Easy Earl o Big Betty, quando va bene, altrimenti si presenta come Wapiti Touché, Beatifica Brown, Arapaho White, Klarence Kosciusko Krotz (KKK… e ci sarà una ragione), Cugino Lester (e Cugino è esattamente il nome di nattesimo), Tombilena o Presciencia, mentre le madri registrano i figli all’anagrafe come Lana Turner, Rita Hayworth o Angelo della Croce. Occorre una buona sospensione del giudizio, anzi non ci vuole proprio un giuduzio, per affrontare Gente di Notte (l’incipit più blues), Alzati e Cammina (lo sviluppo più caotico e punk) e Baby Cat-Face (la conclusone più folle e psichedelica), perché da queste parti un autobus può incendiarsi e arrostire tutti quanti a causa di un fulmine, oppure essere sequestrato con i passeggeri a bordo per assistere ad una rappresentazione teatrale in mezzo a una radura.

Nella scrittura minimale eppure imprevedibile di Barry Gifford non c’è alcun intento moralistico, ed è questa, cominciamo a sospettarlo, la sua grandezza. Non sembra raccontarci il male e la pazzia, l’esclusione e la marginalità, per condannarli o biasimarli. Sgusciando tra la bellezza del ridicolo e la crudeltà, emerge nitido il significato ultimo di queste storie, che naufragano in un'Odissea di sfortune, disordini, accanimenti oltre il limite del lecito: quanto è folle la vita, insensata, ma anche divertente, guidata dal caos e al tempo stesso da uno strano ordine superiore e insondabile, che fa concatenare i destini delle persone.


    

 

Down in N'Awlinz: uno scrittore nella Big Easy

- a cura di Marco Denti -

New Orleans è un baricentro instabile, sfocato, sfuggente, ma onnipresente, che Barry Gifford conosce minuziosamente, come ci ha raccontato nel corso di un breve ma intenso scambio di opinioni: “Ho trascorso molto tempo a New Orleans sia fa bambino che come un adulto. Ho avuto un appartamento lì per otto anni, dal 1990 al 1998 e quindi non è un mistero perché quella città sia presente in molti dei miei romanzi”.

La Big Easy a cui ruotano intorno le Notti del Sud “è uno strano luogo che fa tribù a sé, un po’ come i Mascogos del Coahuil, Messico”. Ecco, le associazioni di Barry Gifford lasciano sempre sorpresi, e senza possibilità di appello. Sei lì concentrato su un personaggio (di solito, una coppia di personaggi, perché gli sbarellati si accompagnano con piacere e disinvoltura) ed ecco che sparisce tutto nel nulla. Non fai in tempo a finire un romanzo che le storie e le allucinazioni ti trascinano dentro un altro. Nessuna tregua, nessuna pietà. L’esperienza delle Notti del Sud è prendere o lasciare perché Barry Gifford non concede pause e procede spedito, spinto dalla passione della musica, che è quello che gli riesce meglio, scrittura a parte: “Mi piace pensare che la cadenza delle mie frasi sia influenzata dalla musica relativa alla narrazione e la musica è sempre stata parte integrante della mia scrittura. Ascolto spesso la musica mentre scrivo e mi piace suonare, il piano o la chitarra, appena posso”.

Ma i legami musicali sono molto più profondi, come ha tenuto a precisare lo stesso Barry Gifford: “Sono cresciuto a Chicago e da ragazzo andavo nei club e nei bar del West e del South Side, cercando, per esempio, di imparare a suonare la chitarra guardando Magic Sam che suonava all’Alex Club su Roosevelt Road. E sono stato uno degli scrittori originali di Rolling Stone a San Franciso, tra il 1968 e il 1970, dove ho scritto articoli, interviste e recensioni su Howlin’ Wolf, Buddy Guy e molti altri. Ho lavorato anche per Jazz & Pop a New York, dove ho pubblicato il primo articolo a livello nazionale dedicato all’Association for the Advancement of Creative Musicians, il fondamentale nucleo di jazzisti creato a Chicago nel 1969 con Roscoe Mitchell, Anthony Braxton e Lester Bowie”.

Il ritmo è il resto, ed è tutto, compreso un rosario di nomi che fioriscono come se un elenco telefonico della Louisiana fosse stato vivisezionato e poi shakerato con uno del Mississippi. Un tratto peculiare che Barry Gifford ci ha spiegato così: “Riguardo alla scelta dei nomi dei miei personaggi, Robert Bolaño in una recensione ha scritto: ‘Barry Gifford è noto per l’abitudine di dare ai suoi personaggi nomi accattivanti e coloriti. Cosa c’è dietro il gusto di Gifford per quei cognomi colorati? Molte cose: la solitudine del confine, quel territorio mitico tra Stati Uniti e Messico, e la solitudine di tutti gli uomini... Ritratti di polvere e vento”. Magari è impossibile ricordarsi tutti i nomi, ma non è nemmeno necessario.

Le Notti del Sud sono attraversate da una salutare vena di follia che ci permette di “ritrarre il mondo” da una prospettiva unica, un po’ più istintiva, un po’ più speziata, “senza pregiudizi, per capirci qualcosa”, e chissà cosa ne pensano a New Orleans, e chissà cosa dicono i Mascogos, laggiù in Messico.


La recensione dal blog di BooksHighway (di Marco Denti)
bookshighway.blogspot.com/2020/10/barry-gifford.html


Notti del sud, una playlist musicale ispirata dalla lettura del libro.

    

 

 


 


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