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Edward Allen
Straight Through the Night

- a cura di Marco Denti e Fabio Cerbone -

Edward Allen
Via verso la notte

[Mattioli 1885, pp.316]

Gli odori, i rumori, le vibrazioni del traffico e il pulsare delle luci di New York accompagnano l’odissea di Chuck Deckle, sorta di antieroe protagonista di Via verso la notte (Straight Through the Night, 1990), romanzo d’esordio di Edward Allen che, ancora una volta grazie alla meritoria opera di ricerca di Mattioli 1885, possiamo riscoprire nella traduzione a cura di Marco Papi.

Un recupero interessante proprio per il ruolo “defilato” di Allen, scrittore, poeta e insegnante che ha raccolto un Flannery O'Connor Award nel 2002, dedicandosi ai racconti brevi, e che può “vantare” una produzione molto parca, a cui aggiungere il successivo romanzo del 1992 Mustang Sally, ma non è certo un nome molto chiacchierato, anche tra chi segue da vicino le vicende della letteratura americana contemporanea. Invece, la sua lingua ricca, imaginifica e pungente a seconda dell’incedere dello stesso protagonista di Via verso la notte, tra dialoghi che sfiorano il grottesco, una evidente satira sociale e parentesi di poesia urbana da flusso di coscienza, è lo specchio di uno scrittore che sembra avere assimilato a pieno la lezione della Beat generation di trent’anni prima, trasportandola però nell’America assediata dalla crisi economica e di identità all'alba degli anni Ottanta.

Quest’ultimo è il periodo storico, niente affatto secondario, che fa da sfondo alle avventure da “macellaio in prova” di Chuck Deckle: scorrono fra le pagine i riferimenti alla crisi degli ostaggi in Iran, alla sfortunata presidenza di Jimmy Carter messa alla berlina, all’inflazione e alla disoccupazione che assillano una classe operaia in declino, attendendo la “rinascita” tutta liberismo sfrenato e promesse di ricchezza dei successivi anni reaganiani. Chuck potrebbe approfittare delle sue condizioni borghesi e della buona istruzione che la famiglia gli ha offerto, ma intuiamo fin dalle prime pagine che ha scelto di perdersi e di rigettare un destino già scritto, che resterà tuttavia sullo sfondo dell'intero romanzo, come una sorta di rimpianto per quello che poteva essere (la scuola, gli amici, il lavoro, le vacanze, la famiglia) e non è stato. Fuori posto, più perdente che ribelle, outsider per una sorta di spinta interiore, fin da giovane l’idealista Chuck ha preferito una Volkswagen malridotta, con il muso che non punta dritto sulla strada, e una vita da vagabondo americano (e qui ritorna il rapporto sentimentale con i Beat) che ha infine trovato il suo posto nei macelli dei bassifondi di New York.

È lì, in quel crogiolo di vite alla deriva e voci dissonanti, che si sviluppa il corpo di Via verso la notte, accompagnati da un fallimento a un altro, da un licenziamento al successivo, cercando di capire perché Chuck ha deciso di tagliare la carne quando lui stesso confessa di non esserne capace, relegato alle mansioni più dure, dentro un mondo, quello dell’industria alimentare, descritto al tempo stesso con ferocia e ironia. Le giornate di Chuck Deckle iniziano quando gli altri dormono ancora sonni tranquilli, e lui dai sobborghi di New York si muove verso il Bronx, i mercati della carne e un nugolo di personaggi che sembrano di volta in volta annullarlo, schiacciandone la personalità, mettendone in discussione i valori, solleticando la sua rabbia repressa, facendo emergere aspetti di cui Chuck stesso si vergogna. Nel frattempo prova, con una tenacia che è tipica di tutti gli ostinati sconfitti del sogno americano (perché, messo sottosopra, si parla in fondo ancora di questo in Via verso la notte), ad aggrapparsi a qualche scampolo di bellezza: l’amore fugace per l’infermiera Jill, gli sporadici incontri con la famiglia, che rimane un'ombra irrisolta, mentre i programmi tv inondano le sue serate di ritorno dal lavoro, invaghendosi di qualche attrice o passando al setaccio gli eroi dei cartoni animati.

Ma con tutti gli sforzi possibili fatti per galleggiare in questa corrente, tra un impiego sindacalizzato e uno sfruttamento, un capo reparto incarognito e un collega disperato, un sogno sfumato di indipendenza e paghe da fame, Chuck non farà altro che imboccare vicoli ciechi, fino al suo approdo al Glatt Mart, la macelleria kasher gestita dall'ebreo Howie che appare come l’ultimo girone di un particolre inferno newyorkese. Sarà tra quelle mura ostili, per lunghi mesi, e accompagnato infine anche dalla morte del suo mito John Lennon (quel maledetto giorno di dicembre del 1980 davanti al Dakota bulding), che Chuck Deckle prenderà forse consapevolezza del suo percorso esistenziale. Per andare dove, non lo sappiamo: ma è il viaggio che conta, no?

(Fabio Cerbone)


Via verso la notte: una playlist per accompagnare la lettura
New York e dintorni, 1980 circa

“Non c’è niente da insegnare oltre al rock’n’roll. Che altro c’è? Tutto il resto è soltanto merda e spazzatura, e un branco di vecchi ulcerosi che si insultano al telefono”
(Edward Allen, Via verso la notte)




Dall’inizio alla fine della notte, la fuga per la libertà di Edward Allen è anche una gimkana coraggiosa tra gli effetti delle reazioni a catena nella letteratura americana del ventesimo secolo. Il punto di partenza è il crudo (crudissimo) realismo che mostrava, a suo tempo, La giungla di Upton Sinclair, una vera e propria immersione nei gironi danteschi dei macelli di Chicago a cui Edward Allen si ispira per riprodurre la sua personale immersione tra la carne e il sangue, nei bassifondi di un’esistenza finita in un vicolo cieco. Sono le pagine di Via verso la notte più disturbanti, a modo loro persino epiche, dove per Edward Allen sembrano valere le parole di Norman Mailer, in Pubblicità per me stesso quando diceva: “Stavo appunto imparando che le mie idee erano considerate sconce; e che la mia bella America, che per tanti anni mi ero dato tanto da fare a criticare, era in realtà un paese vero che faceva cose vere e brutte a qualcuno in più che non soltanto i personaggi dei miei libri”.

Per Chuck Deckle, protagonista di Via verso la notte e alter ego di Edward Allen, le opzioni sono ridotte al limite: gli rimangono ombre (parecchie) e luci della città che è New York, as usual, e un pulviscolo di idee in movimento, pronte a sublimarsi in torrenti di parole. Le lunghe e sinuose frasi che distinguono lo stile di Edward Allen partono dall’immacolato Jack Kerouac per riaprire corsi e ricorsi della Beat Generation che, nel corso del tempo, hanno prodotto un’influenza profonda, per quanto nascosta, sotterranea e, il più delle volte, invisibile. Come un flusso elettromagnetico che ha attraversato barriere, limiti, frontiere, quell’afflato per la libertà, contro la noia di convenzioni ammuffite, in stretta simbiosi con la danza e la musica, trova in Edward Allen soltanto l’ultimo degli epigoni di antiche e gloriose gesta. Nell’onda lunga della Beat Generation, e nell’affinità con la vita perduta nelle after hours, trovano un posto d’onore, il più delle volte al bancone di un bar, Tom Waits, e, scalzo e in mezzo a una strada, il primo e verbosissimo Bruce Springsteen, accecato dalla luce e perso nel diluvio.

Con Edward Allen, condividono tutti, quelli che Gary Snyder chiamava “luoghi e percorsi d’energia, fonti primarie della vita”, ma nella notte cupa del 1980, dove Via verso la notte va proprio a finire, forse è lo sferragliare di Catholic Boy di Jim Carroll la colonna sonora ideale, metallica e poetica nello stesso tempo. Il sassofono di Bobby Keys in City Drops Into The Night che evoca Charlie Parker, Dizzy Gillespie e Lester Young in un mondo dominato dagli Stones, richiama intere generazioni di “furtivi”, come li chiamava Jack Kerouac, uno che non metteva mai il punto interrogativo in fondo alla sue domande, perché in realtà erano le arringhe di un’infinita apologia degli outsider.

(Marco Denti)


    


 


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