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James Lee Burke
Down in Louisiana

- a cura di Fabio Cerbone -

James Lee Burke
Robicheaux

[Jimenez edizioni, pp.464]

Molti credono che l’applicazione della legge, la soluzione dei casi, l’arresto e l’azione penale contro i criminali procedano in modo sistematico e lineare. È vero il contrario. Un risultato positivo è di solito prodotto da informatori e colpi di fortuna. L’attesa, le opportunità mancate, la burocrazia, le prove perse e contaminate, i testimoni che cambiano versione sono infiniti. La fiacchezza, la frustrazione e la rabbia diventano uno stile di vita.
(Dave Robicheaux - Robicheaux, James Lee Burke)


Inaugurato lo scorso anno con la pubblicazione dell’antologia di racconti Gesù dell’uragano, l’atteso ritorno nelle librerie italiane di un maestro americano come James Lee Burke prosegue in casa Jimenez con il piatto forte, ovvero sia con l’inseparabile figura letteraria di Dave Robicheaux. Protagonista assoluto della produzione dello scrittore di origini texane, da anni residente in Montana, Robicheaux possiede tutti i lati oscuri e contraddittori di un anti-eroe, quelle figure che spesso popolano la letteratura americana cosiddetta “hard boiled”, tradizione da cui Burke ha attinto a piene mani per forgiare il carattere del suo personaggio, un poliziotto inseguito dai propri stessi fantasmi, che siano i ricordi del Vietnam in cui ha combattutto oppure il dolore che ha provocato a chi gli stava intorno per la sua dipendenza dall’alcol.

Dagli esordi di Pioggia al Neon del 1987 sono passati più di una ventina di romanzi e si fa fatica a credere che Burke sia riuscito in tutto questo tempo a mantenere così intenso e tormentato il racconto di un uomo che, tra gli acquitrini lucenti della Louisiana e l’impareggiabile corruzione che li circonda, trova ancora la forza di aggiustare le storture del mondo. A modo suo, certamente, e con regole sempre un po’ confuse e sfumate, quando non del tutto prive di uno schema, come si conviene a tutta la tradizione che da Raymond Chandler arriva a James Ellroy, giusto per citare la categoria in cui anche James Lee Burke gioca a pieno diritto.

Nel caso di Robicheaux - titolo del 2018 che nel frattempo è stato già aggiornato con altri due romanzi della serie, speriamo di prossima pubblicazione - la faccenda si fa ancora più interessante, perché come ci capita spesso di sottolineare in occasione degli album musicali, quando un autore decide di intitolare un’opera con il suo nome, dietro si nasconde un turning point della sua carriera, una rinascita o al contrario una chiusura dei conti. Facendo volare un po’ l’immaginazione, sapendo bene che il libro non lo ha scritto Dave Robicheaux (ma ha una figlia che si chiama come quella vera di James Lee Burke, Alafair, che guarda caso fa la scrittrice...), questo omonimo romanzo si annuncia come uno degli episodi più accidentati ed esplosivi della saga, lì dove scagnozzi della mafia locale, ricchi uomini d’affari con ambizioni politiche, poliziotti corrotti e dulcis in fundo psicopatici a piede libero intrecciano i loro destini in un cortocircuito che dal locale, la Lousiana, passa al nazionale, gli Stati Uniti, sullo sfondo di un paese che non sa scrollarsi di dosso la sua fatale attrazione per la violenza, le soluzioni più sbrigative delle armi e non ultimo il suo atavico senso di colpa per il razzismo strisciante che lo accompagna dalla sua fondazione.

In mezzo alla tempesta, che da quelle parti sono abituati a digerire (Katrina insegna...), Dave Robicheaux, e con lui l’inseparabile spalla Clete Purcel, più che un amico una sorta di folle e complementare essere umano in cerca di guai, tentano di mettere insieme i pezzi del puzzle: non solo una serie di reati che dallo strupro all’omocidio crescono in intensità, ma anche un personale coinvolgimento nella questione, a cominciare da quella notte in cui, tornando a casa ubriaco, Robicheaux non ricorda esattamente se sia stato lui a togliere la vita a un uomo… Guarda caso quello stesso uomo che aveva causato la morte di sua moglie Molly in un incidente stradale. Dave Robicheaux è un po’ più vecchio e molto più stanco, frequenta la Anonima Alcolisti, ogni mattina fa a gara con i suoi demoni e di sera si prepara a incontrare i suoi incubi, ma nonostante tutto sogna ancora il suo angolo di paradiso, tra il Bayou Teche e New Iberia, immerso in quella cultura cajun che lui si ostina a rievocare, anche quando la gente del posto ormai non sa manco più parlare francese.

La New Orleans che ha amato non esiste più se non nelle cartoline, il volto di una città cambiato per sempre dopo le innumerevoli ferite che le hanno inferto. La colpa è di gente come Fat Tony, mafioso del posto che prima di schiattare sotto il suo stesso peso, sogna una grande uscita di scena, producendo un film storico sulla Guerra Civile; o come Jimmy Nightingale, rampollo di buona famiglia che ambisce a un seggio del Senato della Repubblica, solleticando gli instinti più bassi dell’elettorato; o persino di intelletuali integerrimi come Levon Broussard, scrittore circondato da fama e rispetto, che ha più di un peso sulla coscienza da farsi perdonare. Ognuno di loro avrà in modo più o meno consapevole un ruolo nel caos che monterà attorno a Robicheaux, l’uomo, la vita e il romanzo una cosa sola, naturalmente con un numero di caduti che comincerà a farsi preoccupante.


Quando qualcuno mi chiede com’era una volta la Louisiana meridionale, e che cosa è stato depredato dagli inquinatori industriali e dai politici corrotti della Louisiana, suggerisco di ascoltare il lamento di Harry. Secondo me, chiunque rimanga indifferente davanti a questa canzone ha un’afflizione spirituale.

(Dave Robicheaux - Robicheaux, James Lee Burke)


    


 


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