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Bruce Springsteen
Deliver Me From Nowhere: la nascita di Nebraska

- a cura di Fabio Cerbone -

Warren Zanes
Liberami dal nulla

Bruce Springsteen e Nebraska

[Jimenez, pp.304]

Come si realizza un disco di cui non si è assolutamente consapevoli? È quello che è successo a Bruce Springsteen in un’anonima casa di Colts Neck, New Jersey, lontano dai riflettori del rock’n’roll e dalla notorietà che lo stava travolgendo all’indomani del tour di The River, ed è quello che intende raccontarci Warren Zanes nelle pagine di questa appassionata e minuziosa ricostruzione, al tempo stesso storica e umana, del “making of” di Nebraska.

Liberami dal nulla descrive esattamente “il suono di un artista inconsavole di stare facendo un disco”, un album che fin dal principio non ha una forma finale precostituita, e neppure un obiettivo chiaro da raggiungere, e dove conta soprattutto l’urgenza del songwriter di mettere su nastro, letteralmente, un pugno di canzoni che gli sembrano riflettere una luce particolare. Springsteen non sapeva di registrare Nebraska, eppure lo faceva lo stesso, perché aveva forse intuito che quelle ballate, così bisognose di austerità (parole dello stesso Bruce), erano un modo per raccontare esternamente l’isolamento americano e dall’interno la sua stessa condizione di artista tormentato, inseguito dai nodi irrisolti della sua vita, da veri e propri fantasmi.

In Nebraska ce ne sono parecchi, emergono in quella visione in bianco e nero che il disco trasmette tra note e parole, sospendendo il giudizio sui suoi protagonisti e attingendo da una parte all’America degli anni Cinquanta, dall’infanzia di Springsteen e della sua famiglia, e dall’altra da artisti, canzoni, film, libri (Warren Zanes ne offre un ampio campionario e una precisa definizione del loro ruolo sulla genesi di Nebraska) che hanno alimentato l’ispirazione di un disco, fino a farlo diventare una sorta di “pittura rupestre nell’era della fotografia” (Warren Zanes). Là fuori, infatti, c’era l’America “radiosa” di Ronald Reagan, la promessa di un nuovo mattino per la nazione e dell’avvento di un’epoca di prosperità e lustrini che avrebbe affrancato tutti dalla povertà con la magia ingannatrice delle politiche neo-liberiste; nella stanza di Colts Neck, con la spessa moquette arancione su cui sedeva Bruce Springsteen, c’erano invece le storie del serial killer Charles Starkweather dell’omonima Nebraska, o di Johnny 99, Highway Patrolman e State Trooper, insomma di un paese molto più complicato, ferito, piegato.

I luoghi oscuri sulle cui tracce si incammina il musicista del New Jersey non facevano rumore nel 1982, e questo accresce ancora di più la portata dirompente di un album che nessuno si sarebbe aspettato, in quel tempo, da un’artista come Springsteen. Un gesto di rottura che Liberami dal nulla ci fa comprendere avvicinandosi a tappe alla sua creazione, con passaggi illuminanti sugli aspetti più tecnici (ma che sono anche, forse soprattutto, di sostanza e di significato) dell’incisione, da quel registratore Teac 144 a quattro piste collocato nella stanza di Colts Neck per approdare al folle riversamento su musicassetta (che sarebbe rimasta nella tasca di Bruce Springsteen per capirne bene il destino), utilizzando un stereo portatile Panasonic rovinato dall’acqua.

Ma il vero regalo di Liberami dal nulla, oltre alla lucida direzione impressa al racconto e alle tante voci raccolte lungo la strada (c’è il protagonista, naturalmente, e ci sono Jon Landau e Chuck Plotkin, ma anche un sacco di outsider che da Nebraska hanno tratto un insegnamento, da Steve Earle a Dave Alvin passando per il compianto Scott Kempner dei Del Lords), è soprattutto quando sbroglia la matassa dell’intreccio fra Nebraska e il successo milionario di Born in the Usa, due album agli antipodi, come il buio e la luce, che a un certo punto cominciano a camminare in parallelo. Con il senno di poi lo avremmo scoperto tutti, sarebbero bastate le outtakes che affioravano dalla compilazione del confanetto Tracks, ma nel 1982, a due anni dall’esplosione definitiva del fenomeno Springsteen nella cultura pop mondiale, il confine non era affatto così marcato. Nella trama di Liberami dal nulla, Nebraska diventa così “l’arco teso e Born in the Usa la freccia tirata”: un rapporto “simbiotico”, dichiara Springsteen, tra due opere discografiche a prima vista così distanti. Questo perché entrambi i dischi rispondevano, in modi diversi che vale la pena scoprire leggendo Liberami dal nulla, alla stessa essenziale domanda, per l’uomo e per l’artista Springsteen: dovrei avere tutto questo successo e soprattutto me lo merito?

Nell’assoluta singolarità che ha significato la pubblicazione di un album come Nebraska, sia per la carriera di Bruce Springsteen, sia più in generale per qualsiasi artista dall’impatto così popolare, Liberami dal nulla ci fa capire che la forza e il fascino ancora oggi intatti di un disco così “accidentale” e imperfetto è stata proprio la scelta di lasciarlo in qualche modo completare a noi ascoltatori.





Liberami dal nulla: Warren Zanes racconta Nebraska

- a cura di Marco Denti -

Warren Zanes, che ha alle spalle l’esperienza chitarristica con i Del Fuegos e, una volta passato alla letteratura, le biografie di Dusty Springfield e di Tom Petty, si avvicina a Nebraska dalla porta posteriore, in punta di piedi, spiegando nel frattempo cosa c’entrano i Suicide, Hank Williams, Johnny Cash, Flannery O’ Connor, le fotografie in bianco e nero di Robert Frank, gli yodel e il funzionamento di un registratore a quattro piste.

È tutto quello che è servito a Springsteen per incidere Nebraska, ed è da quell’isolamento, agli antipodi delle caotiche dinamiche di una rock’n’roll band, che parte Warren Zanes. Springsteen era reduce dall’esperienza di The River, l’incisione infinita del doppio album e il successivo, spettacolare tour. Chiunque avrebbe provato a cristallizzare tutta la propria carriera su quel segmento fortunato e invece, come scrive Warren Zanes, “con Nebraska, Springsteen mise da parte quasi tutto quello che sembrava essere indispensabile per ottenere il successo commerciale, dalla resa sonora chiara e pulita all’esecuzione perfetta, fino alla faccia dell’artista piazzata sulla copertina dell’album. Asciugò le canzoni al punto che quello che rimaneva era il borbottio dell’arte”.

Nebraska è un salto nel buio e nello stesso tempo “uno dei momenti più enigmatici della storia della popular music”: è un album estremo, e “impegnativo in quanto pretendeva moltissimo dall’ascoltatore”. Ancora adesso è così, solo che Warren Zanes illustra i motivi con una passione ammirevole, ma senza lasciarsi trascinare dalle emozioni, che pure filtrano in quantità. Racconta a fondo sia la scarnissima natura estetica delle canzoni, sia i dettagli (fondamentali) della minimale incisione, con tutti gli elementi tecnici in primo piano. Un bel calvario, tanto che, secondo lui, Nebraska resta “incompiuto” e “consegnato a un mondo in procinto di oltrepassare la soglia di quel digitale attraverso cui la tecnologia avrebbe consentito alla musica registrata di essere perfettamente sincronizzata e di ottenere l’intonazione perfetta, ma facendole rischiare di perdere la connessione con il non aggiustato e l’inaggiustabile”.

Un incidente di percorso dove domina “l’austerità” e gli aspetti formali, compresi quelli specifici legati alla strumentazione, e ai diversi passaggi delle registrazioni e delle masterizzazioni, persino la stessa, spartana copertina concorrono a fare di Nebraska un caso unico, perché, come scrive Warren Zanes, “ci sono momenti, nella carriera di gran parte degli artisti, in cui costoro assorbono di più, cercano di più e ci vedono più chiaro, senza necessariamente sapere perché lo fanno”. È in quell’abbandono e in quella solitudine che emerge una “luce”, che apre uno squarcio tutto da esplorare. È proprio lì, dentro una ferita aperta, che è arrivato Bruce Springsteen: “Avevo solamente un certo tono in mente, che percepivo simile a quello che c’era quando ero ragazzino. E allo stesso tempo sembrava che quel tono coincidesse con quello del paese all’epoca”.

Questo viaggio nel tempo non sarà indolore, né per lui né per l’America intera e questo perché Nebraska è l’apologia dell’imperfezione, che in sé rappresenta tutta la sua tenebrosa bellezza. Bob Clearmountain, uno che ha firmato il sound di una miriade di dischi, delineando un intero standard qualitativo, ha detto: “C’è qualcosa di unico negli esseri umani che suonano la musica. E nel momento in cui siamo riusciti a vedere e a sistemare gli errori, abbiamo smesso di ascoltare gli esseri umani. Nebraska? Il fatto di suonare in quel modo era una delle sue qualità più importanti”. Si tratta, in tutta evidenza, di una specie di rivoluzione copernicana del rock’n’roll e Liberami dal nulla non è soltanto il racconto sull’album home made di Springsteen, ma ci dice quanto in profondità ci toccano le canzoni, il rock’n’roll, e tutti i fantasmi che si portano dietro.

(tratto dal blog di BooksHighway: bookshighway.blogspot.com/2024/03/warren-zanes.html)


    


 


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