Richmond Fontaine
"The land of broken dream"

Nessuno meglio di Willy Vlautin e dei suoi Richmond Fontaine ha saputo fotografare il senso d'isolamento e di precarietà che si nasconde dietro la dimessa quotidianità dell'America più periferica e marginale. Uno sguardo impietoso su un'umanità triste, proiettata inesorabilmente alla sconfitta, la quale più che vivere sopravvive affogando i propri sogni infranti in anonime stanze di motel o in squallidi casinò dal nome pacchiano. Attraverso un'alternative country evocativo, a bassa fedeltà, in grado di cogliere l'essenza delle short stories narrate, i Richmond Fontaine sono diventati negli ultimi 15 anni una delle realtà musicali più rappresentative e sincere del grande nulla geografico e sociale americano. L'uscita del nuovo album The High Country, nonché la realizzazione del film "The Motel Life"con Dakota Fanning, Stephen Dorff e Kris Kristofferson, tratto dal primo omonimo romanzo di Vlautin sono un'ottima occasione per riscoprire la loro discografia..

A cura di Gianluca Serra

 
:: Il ritratto

 

Nativo di Reno, città del nord-ovest Nevada famosa per i suoi casinò, Willy Vlautin trascorre la propria adolescenza tra l'ascolto di Husker Du, Replacements, Blasters e la passione per la narrativa minimalista di Raymond Carver e Flannery O'Connor. L'universo effimero ed artificiale di un luogo come Reno, popolato per lo più da un'umanità di passaggio come vacanzieri, camionisti o parassiti alla deriva non ha nulla da offrire ad un giovane con la passione per la letteratura e il rock'n roll. Da qui Willy decide di trasferirsi nella vivace Portland, Oregon località progressista caratterizzata da una fervida scena musicale e da locali disposti a far suonare ad ogni ora del giorno e della notte. Proprio a Portland nel 1994, dall'incontro con il bassista Dave Harding con cui condivide gli stessi gusti musicali, Vlautin fonda i Richmond Fontaine il cui nome, quanto meno anomalo, viene scelto come tributo ad una curiosa avventura vissuta da Harding durante un viaggio in Messico assieme ad amici: durante l'attraversamento del deserto rimangono a piedi con la macchina e la fortuna vuole che venga loro in soccorso un vecchio hippie americano, per l'appunto Rich Fontaine, che li ospita nella sua casa in mezzo al deserto strapiena di droga e birra. Arruolato Stuart Gaston alla batteria e con l'aggiunta di alcuni musicisti occasionali quali Neil Gilpin alla pedal steel, nel 1996 il gruppo dà alle stampe il loro disco d'esordio Safety. Caratterizzate da un country-punk aspro e a bassa fedeltà, le tracce del disco sono poco più che un acerbo tentativo di replicare alcuni schemi dei primi Uncle Tupelo. La particolarità che emerge in queste canzoni è l'interesse per il lato narrativo dei testi, che rende la band diversa da quasi tutte gli altri gruppi in circolazione. Seppur ancora abbozzate le liriche raccontano le vicende di personaggi qualunque che vivono in maniera dimessa la loro triste quotidianità nella provincia americana più anonima e secondaria.

L'anno successivo esce Miles From e la band addomestica i toni, privilegiando un approccio maggiormente melodico anche grazie all'ingresso del portentoso Paul Brainard alla pedal steel, che riesce ad indirizzare le sonorità verso ballate con un certa venatura country. Nel 2001 viene pubblicato il live Whiskey, Painkillers & Speed che raccoglie alcune registrazioni live della band tenute in piccoli club sparsi nel West, nel periodo tra il 1999 e il 2000. L'atmosfera che si respira è informale, western e profondamente legata alla strada. Giunti alla terza fatica discografica, la band capisce che è giunto il momento di fare il salto di qualità e si dedica anima e corpo alla realizzazione di Lost Son, che esce nel 2000 a tre anni di distanza da Miles From. Nonostante i passi avanti siano evidenti nella fase compositiva e nella produzione, il disco rimane imprigionato nella dualità apparentemente insanabile tra la voglia di suonare duri e hard-core con le sonorità lente e desertiche, maturate grazie al contributo della steel di Brainard. Il risultato è un album di transizione, cupo, carico di nervosismo e tensione.

Stanco dalle snervanti registrazioni e bisognoso di staccare la spina da un periodo difficile a livello personale, Willy Vlautin decide di nascondersi da tutto e da tutti, finendo per girovagare nel nord del Nevada ed in particolare in misere località nascoste nel deserto quali Winnemucca. E' proprio a Winnemucca, comunità di 7 mila anime posizionata in una delle zone più aspre e inospitali del Nevada, popolata da motel, stazioni di rifornimento e squallidi casinò che offrono riparo a camionisti in transito lungo la highway 80 o perdenti alla deriva che affogano le proprie sconfitte nell'alcol, che Willy Vlautin riparte. Frequentando gli stessi bar e le stesse stanze d'albergo di quell'umanità dimessa, Willy trae spunto per le sue storie ed inizia a scrivere con una nuova vitalità ed in maniera più rilassata e leggera rispetto al passato. La nuova ispirazione dà i suoi frutti e nel 2002 esce il nuovo album che si intitola per l'appunto Winnemucca, in cui viene reso tributo ai fantasmi e alle anime perse di questa casinò-town. L'album, che sancisce l'avvio della collaborazione con il produttore JD Foster e l'ingresso nella band del batterista Sean Oldham, segna la definitiva consacrazione della band con la maturazione di un sound finalmente unico ed evocativo. La straordinaria bellezza dell'album non passa inosservata e addirittura la quotata rivista inglese Uncut dedica approfondimenti sulla band, considerando l'album come uno dei migliori dischi dell'anno. Rinfrancati dall'ottimo risultato raggiunto, i Richmond Fontaine proseguono nella strada acquisita e dopo solo un anno danno alle stampe un altro capolavoro: Post To Wire.

L'album prosegue nella radiografia delle anime perdute del grande nulla americano assumendo addirittura i connotati di concept-album. Il passo successivo si dimostra però il meno riuscito. Animato dalla sua grande abilità di storyteller, Vlautin decide di rafforzare ulteriormente la dimensione narrativa della band a scapito delle canzoni e spinge il gruppo verso un progetto in cui la musica viene rilegata a semplice accompagnamento per le sue short stories. Durante un soggiorno di un paio di settimane trascorse in una camera dell' dell'hotel-casinò "The Fitzgerald" di Reno Nevada, a scrutare l'umanità dimessa che popola quei luoghi anonimi, Vlautin compone il materiale per il nuovo album, per l'appunto denominato The Fitzgerald, che esce nel 2005. L'album è accompagnato quasi interamente da sonorità scarne e acustiche, con una batteria quasi assente e nonostante le ormai costanti ed entusiastiche recensioni da parte delle riviste specializzate, l'album non riesce mai a decollare. Sempre nel 2005 esce l'ottima raccolta Obliteration by Time, in cui la band ormai matura ed affermata per venire incontro alle difficoltà dei fans nel reperire i loro primi dischi, decide di tornare ad eseguire alcuni dei loro brani migliori apparsi in Safety e Miles From. L'album segna l'ingresso in pianta stabile nella band del chitarrista Dan Eccles

La grande abilità di scrittore di Vlautin trova definitivamente la sua consacrazione sempre nel 2006 quando la casa editrice inglese Faber and Faber pubblica il suo romanzo d'esordio "The Motel life" in cui viene descritta la tragica storia, ambientata nel Nevada, di due fratelli che dopo uno sfortunato incidente mortale causato ai danni di un ragazzino in bicicletta tentano di fuggire spostandosi da un motel all'altro, tra frequenti sbronze, lavori precari e amici più spiantati di loro fino al tragico epilogo finale. Il romanzo viene nominato uno dei migliori 25 romanzi dell'anno da parte del Washington Post. Nel 2007 esce album live Live At The Doug Fir Lounge registrato durante un concerto tenuto il 23 settembre 2006 a Portland in cui vengono interpretate principalmente le canzoni di The Fitzgerald con un arrangiamento più elettrico. Il risultato è ottimo. Dopo la trilogia del Nevada, la band decide di cambiare lo scenario delle sue storie marginali e si sposta verso la grande frontiera, respirando l'atmosfera mariachi degli stati del southwest quali Utah, New Mexico e Arizona. Con la collaborazione di grandi artisti del luogo, quali Giant Sand e Calexico, nel 2007 esce il progetto Thirteen Cities in cui la band recupera la propria strada musicale fatta di grandi spazi e polvere di deserto. La verve letteraria di Vlautin non si ferma e nel 2008 esce sia un CD di parole in musica dal nome "A Jockey's Christmas", in cui Willy con l'accompagnamento della lap steel di Brainard racconta le vicende di un fantino alcolizzato che al ritorno a Reno per il Natale rischia la rovina con il gioco d'azzardo e amicizie poco raccomandate e sia il suo secondo romanzo dal titolo "Northline" in cui viene narrata la storia di una cameriera alcolizzata che trova conforto in conversazioni immaginarie con Paul Newman.

Nel 2009 i Richmond Fontaine pubblicano l'ottimo We Used To Think The Freeway Sounded Like a River caratterizzato da una forte impronta urbana e notturna. Dal deserto e dai grandi spazi, ora i Richmond Fontaine sembrano interessati a narrare la sottoborghesia schiacciata dalla crisi economica e sociale che si è abbattuta sugli Stati Uniti e lo fanno con un sound maturo, elettrico in grado di sposarsi perfettamente con il lato narrativo delle loro canzoni. Relegato in casa per un paio di mesi a causa di un incidente al braccio, Vlautin si dedica alla realizzazione del romanzo "Lean On Pete" che esce in USA nel 2010 e che narra il triste legame tra un quindicenne Charley ed un vecchio cavallo Pete presso uno stalliere dell'Oregon dove il ragazzo cresce in seguito all'abbandono dal padre. Nel 2010 esce infine l'ottimo live Postcard from Portland: Live at Dante's, in cui la band propone con un piglio sicuro e maturo il proprio repertorio con particolare attenzione con per i pezzi di We Used To Think… La storia di The High Country, ultima fatica di studio del 2011, è invece recente e alla recensione vi rimandiamo per ulteriori dettagli.

 
 
:: Il capolavoro
 

Post to Wire
[El Cortez, 2004]

1. The Longer You Wait // 2. Barely Losing // 3. Montgomery Park // 4. Walter's On the Lam // 5. Through // 6. Postcard From California // 7. Two Broken Hearts // 8. Hallway // 9. Postcard Written With a Broken Hand // 10. Post to Wire // 11. Polaroid // 12. Always On the Ride // 13. Postcard Postmarked Phoenix, Az // 14. Allison Johnson // 15. Willamette // 16. Valediction

 

Una squallida roulotte nel mezzo del deserto con la scritta "This is the land of broken dream" verniciata sulla parete posteriore non lascia dubbi sull'umanità dimessa e smarrita che verrà narrata nelle splendide short stories dell'album. L'America invisibile dei perdenti che respira la polvere del deserto e nasconde la propria solitudine in anonime località popolate da motel da 30 dollari, tavole calde aperte 24 ore e casinò dal nome pacchiano. Comunità periferiche, rassegnate alla sconfitta che vivono ai margini del sogno americano lontano dalla vie trafficate, che affogano i propri sogni infranti nell'alcol o in anonime stanze d'albergo. Dopo l'ottimo Winnemucca, i Richmond Fontaine proseguono nella radiografia dei perdenti con un'opera che assume i connotati di vero e proprio concept-album sulla precarietà e sul declino delle comunità che vivono in mezzo al grande nulla geografico e sociale americano. Partendo dalle cartoline che Walter, un perdente fuggito alla ricerca di miglior fortuna, spedisce al fratello dai vari luoghi che incontra, emergono i ritratti di un'umanità dimessa che tenta di evadere dalla propria quotidianità, fuggendo per "tre giorni di vacanza" nel più completo spasso a base di gioco d'azzardo e alcol, sperando che non finisca mai (Barely Loosing), che vive perennemente in viaggio con la consapevolezza che "quando le corse finiscono si riprendono quel poco di felicità che ti avevano dato, di giorno o di notte in qualsiasi stato o città ti lasciano sempre con niente in mano" (Always On The Run) e che sono alla continua alla ricerca di un disperato contatto umano perché "due cuori spezzati insieme possono non rompersi" (Two Broken Hearts).

Intervallato da brevi intermezzi parlati che rappresentano per l'appunto la corrispondenza tra i due fratelli, l'album segna il parziale superamento delle sonorità allucinate e dimesse di Winnemucca, per un approccio più elettrico e graffiante che rimanda a tratti alle classiche regole dell'alternative country, come nelle bellissime ballate Post To Wire e Polaroid impreziosite dal duetto con Deborah Kelly delle Damnations e a tratti a sonorità più "indie" e psichedeliche quali Hallway, Montgomery Park e la straordinaria Willamette. Su tutto l'incredibile pedal steel di Paul Brainard, vera protagonista dell'unicità del suono della band che concorre ad avvolgere la musica con un'atmosfera bucolica ed evocativa che ben rimanda agli sterminati paesaggi desertici narrati nel disco. Prodotto dal fido JD Foster, Post To Wire rappresenta uno dei ritratti musicali più fedeli e riusciti della "levelland" americana.

 
:: Dischi essenziali
 

We Used To Think The Freeway Sounded Like A River [El Cortez, 2009]

Dopo la struggente radiografia delle anime perse che popolano il deserto, giunti all'ottava fatica discografica i Richmond Fontaine decidono di cambiare il palcoscenico delle loro assurde storie marginali spostando l'attenzione dal grande nulla del Southwest alle mille luci delle metropoli. La stessa suggestiva fotografia posta in copertina, una freeway notturna avvolta dalle luci abbaglianti dei grattacieli in sottofondo, chiarisce fin da subito i forti connotati urbani dell'opera. I protagonisti delle storie diventano ora i "nuovi poveri" di tasca e di animo, espressione di quella sottoborghesia sempre più alla deriva, schiacciata dalla crisi economica e sociale che si è abbattuta sugli Stati Uniti come uno tsunami. Anonime figure che vivono ai margini della metropoli, che cercano di andare avanti immaginando che il rumore delle macchine che sfrecciano lungo la freeway adiacente al loro appartamento sia in realtà il suono romantico di un fiume (We Used To Think The Freeway Sounded Like a River), poveracci schiacciati da debiti che nessun uomo onesto è in grado di onorare (43), bambini che assistono impotenti all'ennesimo amante occasionale che passa la notte con la madre (The Girlfriend), ubriachi che trovano nel pugilato la loro redenzione (The Pull), coppie ormai prossime alla separazione (Two Alone). La nuova macelleria sociale all'ombra delle metropoli che vive di carte di credito e di sogni infranti.

Se dal punto di vista dei testi, l'album conferma ancora una volta le straordinarie doti narrative di Willy Vlautin, dal punto di vista musicale la band sembra aver rinunciato a quell'approccio ambientale e frammentario volto a supportare il lato narrativo, da sempre il loro punto di forza (ma anche il loro limite), per seguire forse per la prima volta un sentiero più convenzionale dove le canzoni assumono una veste più compiuta e curata. Lo stile minimale e dimesso della band viene a coniugarsi con sonorità più notturne e folkie dove il pianoforte e la Telecaster di Endless guidano le danze mettendo in secondo piano la desertica pedal steel di Brainard che tanto aveva dato in passato. Per i più puri potrà sembrare una scelta accomodante ma in realtà con We used la band ha raggiunto il giusto equilibrio tra il minimalismo letterario di Vlautin ed il suono dimesso e Lo-Fi del loro alternative country.


Winnemucca
[El Cortez, 2002]

Posizionata in una delle aree desertiche più aride e inospitali, Winemmucca con i suoi 7.174 abitanti è una delle tante piccole comunità anonime che popolano il deserto del Nevada, distanti anni luce dai luoghi di attrazione turistica e che sembrano delle copie tristi e sbiadite di Las Vegas. Tavole calde, stazioni di rifornimento, squallidi motel da pochi dollari e casinò dall'improbabile nome di Luck J's Casinò, Red Lionn, Legends, Winner's Casinò che cercano di evocare i grandi fasti del Bellagio o del Caesar, ma che non sono altro che tristi luoghi dove viaggiatori in transito, ubriachi, giocatori d'azzardo e parassiti di ogni genere consumano malinconicamente le loro vite alla deriva. Una comunità proiettata inesorabilmente alla sconfitta senza alcuna possibilità di redenzione. L'altra America, quella che respira la polvere del deserto, che più che vivere cerca di sopravvivere affogando i propri sogni spezzati nell'alcol e nella solitudine. Willy Vlautin, nativo di Reno Nevada, conosce bene questi luoghi e se ne ossessiona al punto di farne la fonte d'ispirazione per le sue straordinarie short stories musicali che vanno dritte al cuore.

Dal perdente di Winner's Casinò, che cerca di lasciarsi alle spalle il vuoto che lo assilla cercando sollievo al casinò ("l'unico luogo dove nulla va in malora perché non c'è nulla che cresce"), ai fuggitivi di Out of State rintanati da giorni in una stanza di motel per non farsi trovare, fino a Ray Thaves il protagonista di 5 Degrees Below Zero, il quale assalito da una disperazione improvvisa decide di scendere dal Greyound nel mezzo del deserto per svanire nella neve, le canzoni di Winnemucca ritraggono con freddo realismo la dimessa quotidianità che popola questi luoghi in decadenza come fossero delle fotografie in bianco e nero. Ma dal profondo senso di vuoto ed isolamento, in canzoni come Somewhere Near, Glisan Street o nella meravigliosa Western Skyline emerge un bisogno disperato di umanità, di contatto umano per cercare di non sentirsi troppo isolati, perché è impossibile farcela da soli in posti come questi. Winnemucca è soprattutto il lavoro della svolta in cui i Richmond Fontaine, dopo i primi rozzi esperimenti di country-punk, grazie al produttore JD Foster trovano definitivamente il proprio stile musicale fatto da un alt-country a bassa fedeltà, minimale e visionario in cui la "liquida" pedal steel di Brainard accompagna l'ascoltatore verso paesaggi sconfinati e cosmici, in grado di cogliere l'essenza del lato oscuro dell'american dream.


Thirteen Cities
[El Cortez, 2007]

Conclusa con il cupo The Fitzgerald la trilogia delle anime perse del Nevada, i Richmond Fontaine, come logica prosecuzione del loro percorso artistico, spostano l'attenzione verso gli stati desertici del West e partono per un viaggio che li porterà a toccare 13 città sparse tra il Nevada, lo Utah, il New Mexico, l'Arizona e l'Oregon. Accumunati dal senso di isolamento e dalla marginalità delle proprie esistenze, rispetto ai giocatori d'azzardo del Nevada, i grandi spazi del Southwest propongono un'umanità più variegata che vive sulla propria pelle i problemi della frontiera come l'immigrazione clandestina dal Messico, la precarietà della vita sulla strada vissuta sulle mobile homes, la criminalità giovanile negli immensi sobborghi metropolitani. Un territorio affascinante ricco di deserti e canyon, divenuti il set privilegiato di grandi film western e luogo simbolo nell'immaginario collettivo del mito della frontiera americana, ma che nel profondo vive una parabola di decadenza irreversibile. Luoghi poveri in mezzo al nulla pieni di gente che parla un linguaggio rassegnato e che vive la propria esistenza in maniera quasi nostalgica, malinconica nel segno di un passato glorioso che non esiste più: "Il west è immenso, dal Northwest alla Central Valley Way, ho vissuto a Las Vegas e ho viaggiato lungo gli stati del sole, il west è immenso, il west sta andando in rovina velocemente quanto me", testimonia il protagonista di The Waters Wars, mervavigliosa outtakes dell'album.

Prodotto dal fedele JD Foster, Thirteen Cities viene registrato ai Wavelab Studios di Tucson, Arizona e vede la collaborazione nelle vesti di fedeli compagni di viaggio un gruppo di amici che ben conoscono i segreti di questi posti sterminati. Nessuno meglio di Calexico e Giant Sand, ovvero il meglio della musica dell'Arizona, ha saputo mettere in musica i tramonti rosso fuoco di questi luoghi e il loro contributo si sente fin dalle prime note dell'album. Dall'inziale Moving Back Home # 2, un'apparente allegra marcia mariachi che in realtà descrive il degrado della vita sulla strada, al bellissimo e livido country rock 87 $ And A Guilty Conscience That Gets Worse The Longer I Go in cui viene descritto il senso di colpa del il protagonista per non essere intervenuto ad aiutare la vittima di un incidente stradale, fino ai temi della immigrazione clandestina toccati nella bellissima folk song I Fell Into Painting Houses In Phoenix, buona parte dei pezzi girano davvero a mille. Alcune tracce raggiungono probabilmente il vertice artistico della band quali l'allucinata Ghost I Became o la notturna The Kid From Belmont Street, ma alla fine non tutto funziona soprattutto a causa di una serie di brani che non riescono a tenere il passo e che fanno calare la tensione dell'album. Il senso di un'occasione mancata viene confermato qualche mese dopo l'uscita dell'album, quando i Richmond Fontaine forse consapevoli dell'errore di non aver messo a disposizione tutto il meglio che quelle registrazioni avevano prodotto, pubblicano l'ep 87 $ And A Guilty Conscience That Gets Worse The Longer I Go.


Obliteration by Time [El Cortez, 2005]

Con alle spalle due autentici capolavori del calibro di Winnemucca e Post Wire e soprattutto con la definitiva maturazione di un sound evocativo ed unico nel panorama dell'alternative country americano, i Richmond Fontaine nel 2005 decidono di riaprire gli armadi dei loro primi due dischi, Safety e Miles From, per rispolverare una serie di brani che a causa delle difficoltà della vecchia casa discografica faticano ad essere ascoltati dai loro fans. La band si riappropria dei propri esordi attraverso uno stile informale e rilassato che grazie alla nuova line-up, che vede la presenza di Sean Oldham alla batteria, Dan Eccles alla Telecaster e soprattutto della pedal steel di Paul Brainard, assenti al tempo delle registrazioni originali, concorre ad aumentare in maniera esponenziale la qualità e l'esecuzione dei brani, a conferma che quello che era mancato agli inizi era l'esperienza ed una certa dimestichezza in fase di produzione. La stessa timbrica svogliata del cantato di Vlautin che nei dischi d'esordio risultata fuori tono e a tratti fastidiosa appare ora matura e perfettamente integrata con un sound dimesso e a bassa fedeltà. Dalle straordinarie ballate quali Novocaine, Concusion e White Line Fever, alle ruvide Dayton OH, Harold's Club, 1968, fino alla straordinaria ed evocativa Miles From, che sembra un outtake di Winnemucca, tutto risplende di una luce nuova a conferma dello straordinario periodo di forma della band. C'è spazio anche per una bella rilettura di Pink Turns To Blue degli Husker Du in ricordo degli amori dell'adolescenza. Un'ottima occasione per riscoprire i Richmond Fontaine degli esordi.

 
:: Il resto
 

The Fitzgerald [El Cortez, 2005]

La voglia di raccontare le quotidiane storie di ordinaria desolazione dei perdenti del Neveda non si ferma e trova in The Fitzgerald, terzo ed ultimo capitolo della trilogia delle casinò town, l'episodio più cinematografico e narrativo. Prodotto dal fedele JD Foster e accompagnato quasi interamente da sonorità scarne e acustiche, con una batteria quasi assente e rari interventi di violini e fisarmonica, l'album si presenta come un insieme di short stories dolenti e tristi raccontate da Vlautin con un sottofondo folk. Una sorta di Nebraska dell'alternative country. Come per Winnemucca, anche questo lavoro presenta una contestualizzazione geografica ben precisa e definita, l'album viene infatti composto da Vlautin in una stanza dell'hotel-casinò "The Fitzgerald" di Reno, Nevada durante un soggiorno di un paio di settimane in cui ha potuto scrutare con attenzione l'umanità dimessa che abita quei luoghi. Seppur le storie raccontate, come il bambino che trova un cadavere nel deserto (Incident At Conklin Creek) o l'amore malato tra un portiere d'ospedale e una donna malmenata (The Janitor) o ancora il giocatore d'azzardo a cui viene affidata la nipote abbandonata (Casinò Lights) solo per citarne alcune, affascinano e commuovono l'ascoltatore, l'album non riesce mai a decollare e ad evitare quella sensazione di monotonia e di già sentito. L'approccio dimesso e sussurrato alla lunga stanca ed amplifica all'ennesima potenza quel vortice di disperazione che affiora da storie mai così cupe e lugubri. Sembra quasi che la band stia raschiando il barile, continuando ad insistere su tematiche ormai già ampiamente approfondite negli album precedenti. Il ciclo del Nevada e dei casinò si chiude la prossima direzione è il West.


Safety [Cavity Search, 1996]

Combattuti tra l'amore per l'hard core e la scena alternative country che sta spopolando in America grazie a gruppi come i Wilco e i Son Volt, i Richmond Fontaine, nati dal recente sodalizio tra lo storyteller Willy Vlautin e il bassista Dave Harding, esordiscono nel 1997 con l'album Safety. Registrato negli Anonymous Noise Studios di Portland, con l'aggiunta di Stuart Gaston alla batteria e di Neil Gilpin alla pedal steel, l'album è poco più che un tentativo acerbo e anonimo di replicare alcune idee dei primi Uncle Tupelo. Sonorità aspre, elettriche con un forte accento hard-core che vengono però eseguite con approccio dimesso, minimale grazie ad un cantato spesso fuori tono, volutamente distaccato. A tratti emerge il suono di una pedal steel che tenta di dialogare con i suoni elettrici di alcune ballate dalla lontana reminescenza country, ma l'esperimento appare appena abbozzato e ben lungi dal raggiungere i risultati che verranno toccati nel proseguo. Non tutto è da buttare, alcuni brani quali White Line Fever, Safety, Dayton, OH sono comunque qualcosa di più di semplici acerbi tentativi e come dimostrerà la raccolta Oblitarion by time (rilettura dei brani degli esordi fatti a maturità acquisita) il problema sta semmai nell'inesperienza dimostrata nell'esecuzione, nonché in una produzione a dir poco domestica.

I testi a tratti scolastici e lontani dai livelli della maturità, tratteggiano i dettagli e i contorni di tristi storie di ordinaria desolazione di personaggi che vivono la loro quotidianità nella solitudine e nella sconfitta. Da qui le vicende del protagonista della title track, un vecchio che viene picchiato a morte dai ladri quando trovano tra le sue cose delle riviste per soli uomini, oppure la moglie del camionista di White Line Fever condannata alla depressione mentre il marito vive sulla strada, o il perdente di Wagonwheel Motel recuperato dalla sorella in uno stato pietoso in uno squallido motel in mezzo al deserto.


Miles From [Cavity Search, 1997]

Il seguito di Safety offre pochi spunti di novità rispetto al disco d'esordio. Siamo ancora lontani dalla svolta di Winnemucca, e i Richmond Fontaine sono una band inesperta, acerba che è ancora alla ricerca di un proprio sound in grado di coniugare le sonorità elettriche degli Husker Du e l'alternative country dei Son Volt. Rispetto all'esordio, il suono rozzo ed elettrico risulta forse più addomesticato per tramutarsi in ballate scarne e melodiche dal sapore tradizionale che rimandano a tratti allo stile provinciale di Jay Farrar. La vera novità è senza dubbio la pedal steel, che con l'ingresso di Paul Brainard riesce perfettamente ad integrarsi nei suoni aspri e minimali del gruppo come nella title track o nella strumentale Grandview, lanciando la band verso atmosfere bucoliche e allucinate che diverranno in seguito il loro marchio distintivo del gruppo. Alcuni episodi quali Trembling Leaves, Under Florescend Lights o McDermitt sono buoni pezzi e rimangono impressi nella memoria per la capacità di Vlautin di descrivere con il cuore in mano le storie di solitudine e di sconfitta dei protagonisti, ma è ancora troppo poco per poter gridare al miracolo.


Lost Son
[Cavity Search, 1999]

Registrato nel 1999 al Jackpor Studios di Portland, Lost Son rappresenta il disco di transizione per l'evoluzione musicale della band ovvero il passaggio all'età adulta. Intenzionati a fare il definitivo salto di qualità dopo le due prove acerbe e incompiute di Safety e Miles From, i Richmond Fontaine si tuffano anima e corpo nella registrazione dei nuovi pezzi e realizzano un album più maturo che testimonia i grandi passi avanti sia nel songwriting che nella produzione. Quello che ancora rimane incompiuto è la direzione musicale da intraprendere. Indecisi se proseguire nel sentiero di un hardcore rude ed elettrico o piuttosto indirizzarsi verso sonorità lente e malinconiche, i Richmond Fontaine realizzano un album livido carico di tensione e di storie cupe che risente di un difficile periodo personale vissuto da Vlautin. Alternato da brani veloci e pesanti come Savior Of Time, FT Lewis, Pinkerton e Muddy Conscience e da ballate lente ed evocative che rimandano ai grandi spazi pieni di nulla accompagnate dalla pedal steel di Paul Brainard, quali la struggente Four Hours Out, Fifteen Year Old Kid in Mexico o A Girl in House in a Felony Flats, l'album vive sui ritratti di anonimi personaggi che passano la loro quotidianità nella precarietà e nella sconfitta, narrati per la prima volta con un piglio maturo che rimanda al minimalismo letterario di Raymond Carver. Su tutti la meravigliosa Cascade in cui viene descritta la struggente storia di un giovane che, accompagnato dal fratellastro, si reca per l'appunto a Cascade a ritirare le misere cose lasciate da sua madre morta che non vedeva più da anni. Dall'emozione e dalla fragilità provata dal giovane nel vedere dove e come aveva vissuto sua madre prima di morire, si passa al cinismo del fratellastro che durante il viaggio di ritorno, aiutato da un amico, deruba il giovane dei 1.400$ lasciati dalla madre, lasciandolo solo in mezzo alla foresta legato alla macchina. Seppur Lost Son sia un album di transizione, i Richmond Fontaine dimostrano che il tempo per i capolavori è quasi maturo.


Whiskey, Painkillers & Speed [Richmond Fontaine, 2000]
Live at Satyricon 1 ottobre 1999
[Richmond Fontaine, 2011]
Live at the Doug Fir Lounge
[El Cortez, 2007]
Postcard from Portland: Live at Dante's
[El Cortez, 2010]

Grande scelta per gli appassionati delle registrazioni live della band. Coerentemente con il loro stile Lo-Fi difficile attendersi registrazioni che brillano per qualità, pulizia e cura dei dettagli, i loro show vivono di un'atmosfera informale, tipica del piccolo club in cui la band riesce ad interagire e a narrare le proprie storie. Il primo live ufficiale è Whiskey, Painkillers & Speed attualmente fuori mercato e di difficile reperibilità. La band, per venire incontro alle richieste dei fans, l'ha reso disponibile per il download sul proprio sito a 5 $. L'album fotografa la band on the road in piccoli club sparsi nel West pieni di birra e fumo, nel periodo tra il 1999 e il 2000, ben prima della svolta di Winnemucca. Difficile considerarlo un capolavoro ma di certo emana un fascino particolare, intimo, a tratti struggente e profondamente legato alla strada. La voce strascicata di Vlautin, influenzata dallo stile provinciale di Jay Farrar, e la pedal steel di Brainard che concorre a creare un'atmosfera western, trasformano i ruvidi brani degli esordi in piccole gemme dal sapore cosmico come Trembling Leaves, Give Me Times, Concussion, Contrails o in acidi pezzi hardcore dal sapore country quali Pinkerton, Harold's Club, 1968. A testimoniare i legami con il passato ci pensano le belle cover di Made in Japan di Buck Owens, Madison dei Soul Ausylum e soprattutto l'interpretazione polverosa e allucinata di Fade Away dei Green On Red di Gas Food On Lodging, veri padri spirituali dell'album. Del periodo Lost Son, è disponibile gratuitamente sul sito della band il Live Satyricon Oct. 1 1999 che testimonia un concerto tenuto per l'appunto il primo di ottobre del 1999 al leggendario music club di Portland Satyricon. Nelle note di presentazione del live Dave Harding ricorda con grande soddisfazione quel tour pieno di entusiasmo in cui la band, con l'ingresso di Sean Odham e Paul Brainard, iniziava davvero a credere in se stessa e a sentirsi davvero un gruppo. La qualità della registrazione non è eccezionale. Dedicato solo ai fans più accaniti.

Interessante è il Live at the Doug Fir Lounge pubblicato nel 2007, relativo ad un concerto tenuto dalla band il 23 settembre del 2006 a Portland a seguito del tour di The Fitzgerald, come testimoniato dalla scaletta costituita dalla stragrande maggioranza di pezzi tratti dall'album omonimo. L'interpretazione live cambia gli arrangiamenti di brani acustici e lugubri quali Welhorn Yards, Exit 194B, The Black Road, The Janitor, migliorandoli e rendendoli più in linea con un alt-country classico grazie anche all'ingresso in pianta stabile di Dan Eccles alla Telecaster, che rende più elettrici e movimentati classici brani quali Always On The Run, Post To Wire, Through. Il clima domestico e informale della serata concorre infine a rendere il live un ottima occasione per riscoprire i Richmond Fontaine mai come in questo caso vicini al classico stile alt-country. Unica pecca l'assenza della lap-steel di Brainard. Nel 2010 esce il bellissimo Postcard from Portland: Live at Dante's registrato durante il concerto del 11 dicembre 2009, tenuto per l'appunto nel omonimo club di Portland. Live at Dante's è senza dubbio tra i 4 disponibili il live migliore in termini di qualità di registrazione e bontà dell'esecuzione, confermando il raggiungimento della completa maturità artistica da parte della band. Prevalenti i brani dell'album "We Used To Think The Freeway Sounded Like A River", ma non mancano anche brillanti esibizioni di brani storici quali i quasi otto minuti dell'introduttiva White Line Fever, la ballata Contrails o la desertica strumentale El Tiradito.

 
:: Riepilogo (discografia)


Safety (Cavity Search 1996)   6.5
Miles From (Cavity Search 1997)   6.5
Lost Son (Cavity Search 1999)   7
Whiskey, Painkillers & Speed (Richmond Fontaine 2000)   7
Winnemucca (El Cortez 2002)   8
Post to Wire (El Cortez 2004)   8.5
The Fitzgerald (El Cortez 2005)   6.5
Obliteration by Time
(El Cortez 2006)   7.5
Thirteen Cities (El Cortez 2007)   7.5
$87 & a Guilty Conscience... (EP) (El Cortez 2007)
Live at the Doug Fir Lounge (El Cortez 2007)   7
We Used to Think the Freeway Sounded Like a River (El Cortez 2009)   8
Postcard from Portland: Live at Dante's (El Cortez 2010) 7.5
Live at Satyricon Oct. 1, 1999 (El Cortez 2011)   7






Richmond Fontaine "You Can Move Back Here"



Richmond Fontaine - "Capsized"


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