Nativo di Reno, città
del nord-ovest Nevada famosa per i suoi casinò, Willy Vlautin
trascorre la propria adolescenza tra l'ascolto di Husker Du, Replacements,
Blasters e la passione per la narrativa minimalista di Raymond
Carver e Flannery O'Connor. L'universo effimero ed artificiale
di un luogo come Reno, popolato per lo più da un'umanità di passaggio
come vacanzieri, camionisti o parassiti alla deriva non ha nulla
da offrire ad un giovane con la passione per la letteratura e
il rock'n roll. Da qui Willy decide di trasferirsi nella vivace
Portland, Oregon località progressista caratterizzata da una fervida
scena musicale e da locali disposti a far suonare ad ogni ora
del giorno e della notte. Proprio a Portland nel 1994, dall'incontro
con il bassista Dave Harding con cui condivide gli stessi gusti
musicali, Vlautin fonda i Richmond Fontaine il cui nome,
quanto meno anomalo, viene scelto come tributo ad una curiosa
avventura vissuta da Harding durante un viaggio in Messico assieme
ad amici: durante l'attraversamento del deserto rimangono a piedi
con la macchina e la fortuna vuole che venga loro in soccorso
un vecchio hippie americano, per l'appunto Rich Fontaine, che
li ospita nella sua casa in mezzo al deserto strapiena di droga
e birra. Arruolato Stuart Gaston alla batteria e con l'aggiunta
di alcuni musicisti occasionali quali Neil Gilpin alla pedal steel,
nel 1996 il gruppo dà alle stampe il loro disco d'esordio
Safety. Caratterizzate da un country-punk aspro
e a bassa fedeltà, le tracce del disco sono poco più che un acerbo
tentativo di replicare alcuni schemi dei primi Uncle Tupelo. La
particolarità che emerge in queste canzoni è l'interesse per il
lato narrativo dei testi, che rende la band diversa da quasi tutte
gli altri gruppi in circolazione. Seppur ancora abbozzate le liriche
raccontano le vicende di personaggi qualunque che vivono in maniera
dimessa la loro triste quotidianità nella provincia americana
più anonima e secondaria.
L'anno successivo esce Miles From e la band addomestica
i toni, privilegiando un approccio maggiormente melodico anche
grazie all'ingresso del portentoso Paul Brainard alla pedal
steel, che riesce ad indirizzare le sonorità verso ballate con
un certa venatura country. Nel 2001 viene pubblicato il live Whiskey,
Painkillers & Speed che raccoglie alcune registrazioni live
della band tenute in piccoli club sparsi nel West, nel periodo
tra il 1999 e il 2000. L'atmosfera che si respira è informale,
western e profondamente legata alla strada. Giunti alla terza
fatica discografica, la band capisce che è giunto il momento di
fare il salto di qualità e si dedica anima e corpo alla realizzazione
di Lost Son, che esce nel 2000 a tre anni di distanza
da Miles From. Nonostante i passi avanti siano evidenti nella
fase compositiva e nella produzione, il disco rimane imprigionato
nella dualità apparentemente insanabile tra la voglia di suonare
duri e hard-core con le sonorità lente e desertiche, maturate
grazie al contributo della steel di Brainard. Il risultato è un
album di transizione, cupo, carico di nervosismo e tensione.
Stanco dalle snervanti registrazioni e bisognoso di staccare la
spina da un periodo difficile a livello personale, Willy Vlautin
decide di nascondersi da tutto e da tutti, finendo per girovagare
nel nord del Nevada ed in particolare in misere località nascoste
nel deserto quali Winnemucca. E' proprio a Winnemucca, comunità
di 7 mila anime posizionata in una delle zone più aspre e inospitali
del Nevada, popolata da motel, stazioni di rifornimento e squallidi
casinò che offrono riparo a camionisti in transito lungo la highway
80 o perdenti alla deriva che affogano le proprie sconfitte nell'alcol,
che Willy Vlautin riparte. Frequentando gli stessi bar e le stesse
stanze d'albergo di quell'umanità dimessa, Willy trae spunto per
le sue storie ed inizia a scrivere con una nuova vitalità ed in
maniera più rilassata e leggera rispetto al passato. La nuova
ispirazione dà i suoi frutti e nel 2002 esce il nuovo album
che si intitola per l'appunto Winnemucca, in cui
viene reso tributo ai fantasmi e alle anime perse di questa casinò-town.
L'album, che sancisce l'avvio della collaborazione con il produttore
JD Foster e l'ingresso nella band del batterista Sean Oldham,
segna la definitiva consacrazione della band con la maturazione
di un sound finalmente unico ed evocativo. La straordinaria bellezza
dell'album non passa inosservata e addirittura la quotata rivista
inglese Uncut dedica approfondimenti sulla band, considerando
l'album come uno dei migliori dischi dell'anno. Rinfrancati dall'ottimo
risultato raggiunto, i Richmond Fontaine proseguono nella strada
acquisita e dopo solo un anno danno alle stampe un altro capolavoro:
Post To Wire.
L'album prosegue nella radiografia delle anime perdute del grande
nulla americano assumendo addirittura i connotati di concept-album.
Il passo successivo si dimostra però il meno riuscito. Animato
dalla sua grande abilità di storyteller, Vlautin decide di rafforzare
ulteriormente la dimensione narrativa della band a scapito delle
canzoni e spinge il gruppo verso un progetto in cui la musica
viene rilegata a semplice accompagnamento per le sue short stories.
Durante un soggiorno di un paio di settimane trascorse in una
camera dell' dell'hotel-casinò "The Fitzgerald" di Reno Nevada,
a scrutare l'umanità dimessa che popola quei luoghi anonimi, Vlautin
compone il materiale per il nuovo album, per l'appunto denominato
The Fitzgerald, che esce nel 2005. L'album è accompagnato
quasi interamente da sonorità scarne e acustiche, con una batteria
quasi assente e nonostante le ormai costanti ed entusiastiche
recensioni da parte delle riviste specializzate, l'album non riesce
mai a decollare. Sempre nel 2005 esce l'ottima raccolta Obliteration
by Time, in cui la band ormai matura ed affermata per venire incontro
alle difficoltà dei fans nel reperire i loro primi dischi, decide
di tornare ad eseguire alcuni dei loro brani migliori apparsi
in Safety e Miles From. L'album segna l'ingresso in pianta stabile
nella band del chitarrista Dan Eccles
La grande abilità di scrittore di Vlautin trova definitivamente
la sua consacrazione sempre nel 2006 quando la casa editrice inglese
Faber and Faber pubblica il suo romanzo d'esordio "The Motel
life" in cui viene descritta la tragica storia, ambientata
nel Nevada, di due fratelli che dopo uno sfortunato incidente
mortale causato ai danni di un ragazzino in bicicletta tentano
di fuggire spostandosi da un motel all'altro, tra frequenti sbronze,
lavori precari e amici più spiantati di loro fino al tragico epilogo
finale. Il romanzo viene nominato uno dei migliori 25 romanzi
dell'anno da parte del Washington Post. Nel 2007 esce album live
Live At The Doug Fir Lounge registrato durante un concerto tenuto
il 23 settembre 2006 a Portland in cui vengono interpretate principalmente
le canzoni di The Fitzgerald con un arrangiamento più elettrico.
Il risultato è ottimo. Dopo la trilogia del Nevada, la band decide
di cambiare lo scenario delle sue storie marginali e si sposta
verso la grande frontiera, respirando l'atmosfera mariachi degli
stati del southwest quali Utah, New Mexico e Arizona. Con la collaborazione
di grandi artisti del luogo, quali Giant Sand e Calexico, nel
2007 esce il progetto Thirteen Cities in cui la
band recupera la propria strada musicale fatta di grandi spazi
e polvere di deserto. La verve letteraria di Vlautin non si ferma
e nel 2008 esce sia un CD di parole in musica dal nome "A Jockey's
Christmas", in cui Willy con l'accompagnamento della lap steel
di Brainard racconta le vicende di un fantino alcolizzato che
al ritorno a Reno per il Natale rischia la rovina con il gioco
d'azzardo e amicizie poco raccomandate e sia il suo secondo romanzo
dal titolo "Northline" in cui viene narrata la storia di una cameriera
alcolizzata che trova conforto in conversazioni immaginarie con
Paul Newman.
Nel 2009 i Richmond Fontaine pubblicano l'ottimo We Used
To Think The Freeway Sounded Like a River caratterizzato
da una forte impronta urbana e notturna. Dal deserto e dai grandi
spazi, ora i Richmond Fontaine sembrano interessati a narrare
la sottoborghesia schiacciata dalla crisi economica e sociale
che si è abbattuta sugli Stati Uniti e lo fanno con un sound maturo,
elettrico in grado di sposarsi perfettamente con il lato narrativo
delle loro canzoni. Relegato in casa per un paio di mesi a causa
di un incidente al braccio, Vlautin si dedica alla realizzazione
del romanzo "Lean On Pete" che esce in USA nel 2010 e che
narra il triste legame tra un quindicenne Charley ed un vecchio
cavallo Pete presso uno stalliere dell'Oregon dove il ragazzo
cresce in seguito all'abbandono dal padre. Nel 2010 esce infine
l'ottimo live Postcard from Portland: Live at Dante's,
in cui la band propone con un piglio sicuro e maturo il proprio
repertorio con particolare attenzione con per i pezzi di We Used
To Think… La storia di The
High Country, ultima fatica di studio del 2011,
è invece recente e alla recensione vi rimandiamo per ulteriori
dettagli.
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We Used To Think The Freeway Sounded Like A River [El
Cortez, 2009] Dopo
la struggente radiografia delle anime perse che popolano il deserto, giunti all'ottava
fatica discografica i Richmond Fontaine decidono di cambiare il palcoscenico delle
loro assurde storie marginali spostando l'attenzione dal grande nulla del Southwest
alle mille luci delle metropoli. La stessa suggestiva fotografia posta in copertina,
una freeway notturna avvolta dalle luci abbaglianti dei grattacieli in sottofondo,
chiarisce fin da subito i forti connotati urbani dell'opera. I protagonisti delle
storie diventano ora i "nuovi poveri" di tasca e di animo, espressione di quella
sottoborghesia sempre più alla deriva, schiacciata dalla crisi economica e sociale
che si è abbattuta sugli Stati Uniti come uno tsunami. Anonime figure che vivono
ai margini della metropoli, che cercano di andare avanti immaginando che il rumore
delle macchine che sfrecciano lungo la freeway adiacente al loro appartamento
sia in realtà il suono romantico di un fiume (We Used To Think The Freeway
Sounded Like a River), poveracci schiacciati da debiti che nessun uomo onesto
è in grado di onorare (43), bambini che assistono
impotenti all'ennesimo amante occasionale che passa la notte con la madre (The
Girlfriend), ubriachi che trovano nel pugilato la loro redenzione (The
Pull), coppie ormai prossime alla separazione (Two
Alone). La nuova macelleria sociale all'ombra delle metropoli che vive
di carte di credito e di sogni infranti.
Se dal punto di vista dei testi,
l'album conferma ancora una volta le straordinarie doti narrative di Willy
Vlautin, dal punto di vista musicale la band sembra aver rinunciato a quell'approccio
ambientale e frammentario volto a supportare il lato narrativo, da sempre il loro
punto di forza (ma anche il loro limite), per seguire forse per la prima volta
un sentiero più convenzionale dove le canzoni assumono una veste più compiuta
e curata. Lo stile minimale e dimesso della band viene a coniugarsi con sonorità
più notturne e folkie dove il pianoforte e la Telecaster di Endless guidano le
danze mettendo in secondo piano la desertica pedal steel di Brainard che tanto
aveva dato in passato. Per i più puri potrà sembrare una scelta accomodante ma
in realtà con We used la band ha raggiunto il giusto equilibrio tra il minimalismo
letterario di Vlautin ed il suono dimesso e Lo-Fi del loro alternative country.
Winnemucca [El Cortez, 2002]
Posizionata
in una delle aree desertiche più aride e inospitali, Winemmucca con i suoi 7.174
abitanti è una delle tante piccole comunità anonime che popolano il deserto del
Nevada, distanti anni luce dai luoghi di attrazione turistica e che sembrano delle
copie tristi e sbiadite di Las Vegas. Tavole calde, stazioni di rifornimento,
squallidi motel da pochi dollari e casinò dall'improbabile nome di Luck J's Casinò,
Red Lionn, Legends, Winner's Casinò che cercano di evocare i grandi fasti del
Bellagio o del Caesar, ma che non sono altro che tristi luoghi dove viaggiatori
in transito, ubriachi, giocatori d'azzardo e parassiti di ogni genere consumano
malinconicamente le loro vite alla deriva. Una comunità proiettata inesorabilmente
alla sconfitta senza alcuna possibilità di redenzione. L'altra America, quella
che respira la polvere del deserto, che più che vivere cerca di sopravvivere affogando
i propri sogni spezzati nell'alcol e nella solitudine. Willy Vlautin, nativo
di Reno Nevada, conosce bene questi luoghi e se ne ossessiona al punto di farne
la fonte d'ispirazione per le sue straordinarie short stories musicali che vanno
dritte al cuore.
Dal perdente di Winner's Casinò,
che cerca di lasciarsi alle spalle il vuoto che lo assilla cercando sollievo al
casinò ("l'unico luogo dove nulla va in malora perché non c'è nulla che cresce"),
ai fuggitivi di Out of State rintanati da
giorni in una stanza di motel per non farsi trovare, fino a Ray Thaves il protagonista
di 5 Degrees Below Zero, il quale assalito
da una disperazione improvvisa decide di scendere dal Greyound nel mezzo del deserto
per svanire nella neve, le canzoni di Winnemucca ritraggono con
freddo realismo la dimessa quotidianità che popola questi luoghi in decadenza
come fossero delle fotografie in bianco e nero. Ma dal profondo senso di vuoto
ed isolamento, in canzoni come Somewhere Near,
Glisan Street o nella meravigliosa Western
Skyline emerge un bisogno disperato di umanità, di contatto umano per
cercare di non sentirsi troppo isolati, perché è impossibile farcela da soli in
posti come questi. Winnemucca è soprattutto il lavoro della svolta in cui i Richmond
Fontaine, dopo i primi rozzi esperimenti di country-punk, grazie al produttore
JD Foster trovano definitivamente il proprio stile musicale fatto da un
alt-country a bassa fedeltà, minimale e visionario in cui la "liquida" pedal steel
di Brainard accompagna l'ascoltatore verso paesaggi sconfinati e cosmici, in grado
di cogliere l'essenza del lato oscuro dell'american dream.
Thirteen Cities [El Cortez, 2007]
Conclusa
con il cupo The Fitzgerald la trilogia delle anime perse del Nevada, i Richmond
Fontaine, come logica prosecuzione del loro percorso artistico, spostano l'attenzione
verso gli stati desertici del West e partono per un viaggio che li porterà a toccare
13 città sparse tra il Nevada, lo Utah, il New Mexico, l'Arizona e l'Oregon. Accumunati
dal senso di isolamento e dalla marginalità delle proprie esistenze, rispetto
ai giocatori d'azzardo del Nevada, i grandi spazi del Southwest propongono un'umanità
più variegata che vive sulla propria pelle i problemi della frontiera come l'immigrazione
clandestina dal Messico, la precarietà della vita sulla strada vissuta sulle mobile
homes, la criminalità giovanile negli immensi sobborghi metropolitani. Un territorio
affascinante ricco di deserti e canyon, divenuti il set privilegiato di grandi
film western e luogo simbolo nell'immaginario collettivo del mito della frontiera
americana, ma che nel profondo vive una parabola di decadenza irreversibile. Luoghi
poveri in mezzo al nulla pieni di gente che parla un linguaggio rassegnato e che
vive la propria esistenza in maniera quasi nostalgica, malinconica nel segno di
un passato glorioso che non esiste più: "Il west è immenso, dal Northwest alla
Central Valley Way, ho vissuto a Las Vegas e ho viaggiato lungo gli stati del
sole, il west è immenso, il west sta andando in rovina velocemente quanto me",
testimonia il protagonista di The Waters Wars, mervavigliosa outtakes dell'album.
Prodotto dal fedele JD Foster, Thirteen Cities viene registrato
ai Wavelab Studios di Tucson, Arizona e vede la collaborazione nelle vesti di
fedeli compagni di viaggio un gruppo di amici che ben conoscono i segreti di questi
posti sterminati. Nessuno meglio di Calexico e Giant Sand, ovvero il meglio della
musica dell'Arizona, ha saputo mettere in musica i tramonti rosso fuoco di questi
luoghi e il loro contributo si sente fin dalle prime note dell'album. Dall'inziale
Moving Back Home # 2, un'apparente allegra
marcia mariachi che in realtà descrive il degrado della vita sulla strada, al
bellissimo e livido country rock 87 $ And A Guilty Conscience
That Gets Worse The Longer I Go in cui viene descritto il senso di
colpa del il protagonista per non essere intervenuto ad aiutare la vittima di
un incidente stradale, fino ai temi della immigrazione clandestina toccati nella
bellissima folk song I Fell Into Painting Houses In Phoenix,
buona parte dei pezzi girano davvero a mille. Alcune tracce raggiungono probabilmente
il vertice artistico della band quali l'allucinata Ghost
I Became o la notturna The Kid From Belmont
Street, ma alla fine non tutto funziona soprattutto a causa di una
serie di brani che non riescono a tenere il passo e che fanno calare la tensione
dell'album. Il senso di un'occasione mancata viene confermato qualche mese dopo
l'uscita dell'album, quando i Richmond Fontaine forse consapevoli dell'errore
di non aver messo a disposizione tutto il meglio che quelle registrazioni avevano
prodotto, pubblicano l'ep 87 $ And A Guilty Conscience That Gets Worse The Longer
I Go.
Obliteration by Time [El Cortez, 2005]
Con
alle spalle due autentici capolavori del calibro di Winnemucca e Post Wire e soprattutto
con la definitiva maturazione di un sound evocativo ed unico nel panorama dell'alternative
country americano, i Richmond Fontaine nel 2005 decidono di riaprire gli
armadi dei loro primi due dischi, Safety e Miles From, per rispolverare una serie
di brani che a causa delle difficoltà della vecchia casa discografica faticano
ad essere ascoltati dai loro fans. La band si riappropria dei propri esordi attraverso
uno stile informale e rilassato che grazie alla nuova line-up, che vede la presenza
di Sean Oldham alla batteria, Dan Eccles alla Telecaster e soprattutto della pedal
steel di Paul Brainard, assenti al tempo delle registrazioni originali, concorre
ad aumentare in maniera esponenziale la qualità e l'esecuzione dei brani, a conferma
che quello che era mancato agli inizi era l'esperienza ed una certa dimestichezza
in fase di produzione. La stessa timbrica svogliata del cantato di Vlautin che
nei dischi d'esordio risultata fuori tono e a tratti fastidiosa appare ora matura
e perfettamente integrata con un sound dimesso e a bassa fedeltà. Dalle straordinarie
ballate quali Novocaine, Concusion
e White Line Fever, alle ruvide Dayton
OH, Harold's Club, 1968, fino alla
straordinaria ed evocativa Miles From, che
sembra un outtake di Winnemucca, tutto risplende di una luce nuova a conferma
dello straordinario periodo di forma della band. C'è spazio anche per una bella
rilettura di Pink Turns To Blue degli Husker
Du in ricordo degli amori dell'adolescenza. Un'ottima occasione per riscoprire
i Richmond Fontaine degli esordi.
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The Fitzgerald
[El Cortez, 2005]
La
voglia di raccontare le quotidiane storie di ordinaria desolazione dei perdenti
del Neveda non si ferma e trova in The Fitzgerald, terzo ed ultimo
capitolo della trilogia delle casinò town, l'episodio più cinematografico e narrativo.
Prodotto dal fedele JD Foster e accompagnato quasi interamente da sonorità scarne
e acustiche, con una batteria quasi assente e rari interventi di violini e fisarmonica,
l'album si presenta come un insieme di short stories dolenti e tristi raccontate
da Vlautin con un sottofondo folk. Una sorta di Nebraska dell'alternative
country. Come per Winnemucca, anche questo lavoro presenta una contestualizzazione
geografica ben precisa e definita, l'album viene infatti composto da Vlautin in
una stanza dell'hotel-casinò "The Fitzgerald" di Reno, Nevada durante un soggiorno
di un paio di settimane in cui ha potuto scrutare con attenzione l'umanità dimessa
che abita quei luoghi. Seppur le storie raccontate, come il bambino che trova
un cadavere nel deserto (Incident At Conklin Creek)
o l'amore malato tra un portiere d'ospedale e una donna malmenata (The
Janitor) o ancora il giocatore d'azzardo a cui viene affidata la nipote
abbandonata (Casinò Lights) solo per citarne
alcune, affascinano e commuovono l'ascoltatore, l'album non riesce mai a decollare
e ad evitare quella sensazione di monotonia e di già sentito. L'approccio dimesso
e sussurrato alla lunga stanca ed amplifica all'ennesima potenza quel vortice
di disperazione che affiora da storie mai così cupe e lugubri. Sembra quasi che
la band stia raschiando il barile, continuando ad insistere su tematiche ormai
già ampiamente approfondite negli album precedenti. Il ciclo del Nevada e dei
casinò si chiude la prossima direzione è il West.
Safety [Cavity
Search, 1996]
Combattuti
tra l'amore per l'hard core e la scena alternative country che sta spopolando
in America grazie a gruppi come i Wilco e i Son Volt, i Richmond Fontaine,
nati dal recente sodalizio tra lo storyteller Willy Vlautin e il bassista Dave
Harding, esordiscono nel 1997 con l'album Safety. Registrato negli
Anonymous Noise Studios di Portland, con l'aggiunta di Stuart Gaston alla batteria
e di Neil Gilpin alla pedal steel, l'album è poco più che un tentativo acerbo
e anonimo di replicare alcune idee dei primi Uncle Tupelo. Sonorità aspre, elettriche
con un forte accento hard-core che vengono però eseguite con approccio dimesso,
minimale grazie ad un cantato spesso fuori tono, volutamente distaccato. A tratti
emerge il suono di una pedal steel che tenta di dialogare con i suoni elettrici
di alcune ballate dalla lontana reminescenza country, ma l'esperimento appare
appena abbozzato e ben lungi dal raggiungere i risultati che verranno toccati
nel proseguo. Non tutto è da buttare, alcuni brani quali White
Line Fever, Safety, Dayton,
OH sono comunque qualcosa di più di semplici acerbi tentativi e come
dimostrerà la raccolta Oblitarion by time (rilettura dei brani degli esordi fatti
a maturità acquisita) il problema sta semmai nell'inesperienza dimostrata nell'esecuzione,
nonché in una produzione a dir poco domestica.
I testi a tratti scolastici
e lontani dai livelli della maturità, tratteggiano i dettagli e i contorni di
tristi storie di ordinaria desolazione di personaggi che vivono la loro quotidianità
nella solitudine e nella sconfitta. Da qui le vicende del protagonista della title
track, un vecchio che viene picchiato a morte dai ladri quando trovano tra le
sue cose delle riviste per soli uomini, oppure la moglie del camionista di White
Line Fever condannata alla depressione mentre il marito vive sulla strada, o il
perdente di Wagonwheel Motel recuperato dalla
sorella in uno stato pietoso in uno squallido motel in mezzo al deserto.
Miles From
[Cavity Search, 1997]
Il
seguito di Safety offre pochi spunti di novità rispetto al disco d'esordio. Siamo
ancora lontani dalla svolta di Winnemucca, e i Richmond Fontaine sono una band
inesperta, acerba che è ancora alla ricerca di un proprio sound in grado di coniugare
le sonorità elettriche degli Husker Du e l'alternative country dei Son Volt. Rispetto
all'esordio, il suono rozzo ed elettrico risulta forse più addomesticato per tramutarsi
in ballate scarne e melodiche dal sapore tradizionale che rimandano a tratti allo
stile provinciale di Jay Farrar. La vera novità è senza dubbio la pedal steel,
che con l'ingresso di Paul Brainard riesce perfettamente ad integrarsi nei suoni
aspri e minimali del gruppo come nella title track o nella strumentale Grandview,
lanciando la band verso atmosfere bucoliche e allucinate che diverranno in seguito
il loro marchio distintivo del gruppo. Alcuni episodi quali Trembling
Leaves, Under Florescend Lights
o McDermitt sono buoni pezzi e rimangono impressi
nella memoria per la capacità di Vlautin di descrivere con il cuore in mano le
storie di solitudine e di sconfitta dei protagonisti, ma è ancora troppo poco
per poter gridare al miracolo.
Lost Son [Cavity Search, 1999]
Registrato
nel 1999 al Jackpor Studios di Portland, Lost Son rappresenta il
disco di transizione per l'evoluzione musicale della band ovvero il passaggio
all'età adulta. Intenzionati a fare il definitivo salto di qualità dopo le due
prove acerbe e incompiute di Safety e Miles From, i Richmond Fontaine si tuffano
anima e corpo nella registrazione dei nuovi pezzi e realizzano un album più maturo
che testimonia i grandi passi avanti sia nel songwriting che nella produzione.
Quello che ancora rimane incompiuto è la direzione musicale da intraprendere.
Indecisi se proseguire nel sentiero di un hardcore rude ed elettrico o piuttosto
indirizzarsi verso sonorità lente e malinconiche, i Richmond Fontaine realizzano
un album livido carico di tensione e di storie cupe che risente di un difficile
periodo personale vissuto da Vlautin. Alternato da brani veloci e pesanti come
Savior Of Time, FT
Lewis, Pinkerton e Muddy
Conscience e da ballate lente ed evocative che rimandano ai
grandi spazi pieni di nulla accompagnate dalla pedal steel di Paul Brainard, quali
la struggente Four Hours Out, Fifteen
Year Old Kid in Mexico o A Girl in House in
a Felony Flats, l'album vive sui ritratti di anonimi personaggi che
passano la loro quotidianità nella precarietà e nella sconfitta, narrati per la
prima volta con un piglio maturo che rimanda al minimalismo letterario di Raymond
Carver. Su tutti la meravigliosa Cascade in
cui viene descritta la struggente storia di un giovane che, accompagnato dal fratellastro,
si reca per l'appunto a Cascade a ritirare le misere cose lasciate da sua madre
morta che non vedeva più da anni. Dall'emozione e dalla fragilità provata dal
giovane nel vedere dove e come aveva vissuto sua madre prima di morire, si passa
al cinismo del fratellastro che durante il viaggio di ritorno, aiutato da un amico,
deruba il giovane dei 1.400$ lasciati dalla madre, lasciandolo solo in mezzo alla
foresta legato alla macchina. Seppur Lost Son sia un album di transizione, i Richmond
Fontaine dimostrano che il tempo per i capolavori è quasi maturo.
Whiskey, Painkillers & Speed [Richmond Fontaine,
2000] Live
at Satyricon 1 ottobre 1999 [Richmond Fontaine,
2011] Live
at the Doug Fir Lounge [El Cortez, 2007]
Postcard from Portland: Live at Dante's
[El Cortez, 2010]
Grande
scelta per gli appassionati delle registrazioni live della band. Coerentemente
con il loro stile Lo-Fi difficile attendersi registrazioni che brillano per qualità,
pulizia e cura dei dettagli, i loro show vivono di un'atmosfera informale, tipica
del piccolo club in cui la band riesce ad interagire e a narrare le proprie storie.
Il primo live ufficiale è Whiskey, Painkillers & Speed attualmente
fuori mercato e di difficile reperibilità. La band, per venire incontro alle richieste
dei fans, l'ha reso disponibile per il download sul proprio sito a 5 $. L'album
fotografa la band on the road in piccoli club sparsi nel West pieni di birra e
fumo, nel periodo tra il 1999 e il 2000, ben prima della svolta di Winnemucca.
Difficile considerarlo un capolavoro ma di certo emana un fascino particolare,
intimo, a tratti struggente e profondamente legato alla strada. La voce strascicata
di Vlautin, influenzata dallo stile provinciale di Jay Farrar, e la pedal steel
di Brainard che concorre a creare un'atmosfera western, trasformano i ruvidi brani
degli esordi in piccole gemme dal sapore cosmico come Trembling Leaves,
Give Me Times, Concussion, Contrails o in acidi pezzi hardcore
dal sapore country quali Pinkerton, Harold's Club, 1968. A testimoniare
i legami con il passato ci pensano le belle cover di Made in Japan di Buck
Owens, Madison dei Soul Ausylum e soprattutto l'interpretazione polverosa
e allucinata di Fade Away dei Green On Red di Gas Food On Lodging, veri
padri spirituali dell'album. Del periodo Lost Son, è disponibile gratuitamente
sul sito della band il Live Satyricon Oct. 1 1999 che testimonia
un concerto tenuto per l'appunto il primo di ottobre del 1999 al leggendario music
club di Portland Satyricon. Nelle note di presentazione del live Dave Harding
ricorda con grande soddisfazione quel tour pieno di entusiasmo in cui la band,
con l'ingresso di Sean Odham e Paul Brainard, iniziava davvero a credere in se
stessa e a sentirsi davvero un gruppo. La qualità della registrazione non è eccezionale.
Dedicato solo ai fans più accaniti.
Interessante
è il Live at the Doug Fir Lounge pubblicato nel 2007, relativo ad
un concerto tenuto dalla band il 23 settembre del 2006 a Portland a seguito del
tour di The Fitzgerald, come testimoniato dalla scaletta costituita dalla stragrande
maggioranza di pezzi tratti dall'album omonimo. L'interpretazione live cambia
gli arrangiamenti di brani acustici e lugubri quali Welhorn Yards, Exit
194B, The Black Road, The Janitor, migliorandoli e rendendoli
più in linea con un alt-country classico grazie anche all'ingresso in pianta stabile
di Dan Eccles alla Telecaster, che rende più elettrici e movimentati classici
brani quali Always On The Run, Post To Wire, Through. Il
clima domestico e informale della serata concorre infine a rendere il live un
ottima occasione per riscoprire i Richmond Fontaine mai come in questo caso vicini
al classico stile alt-country. Unica pecca l'assenza della lap-steel di Brainard.
Nel 2010 esce il bellissimo Postcard from Portland: Live at Dante's
registrato durante il concerto del 11 dicembre 2009, tenuto per l'appunto nel
omonimo club di Portland. Live at Dante's è senza dubbio tra i 4 disponibili il
live migliore in termini di qualità di registrazione e bontà dell'esecuzione,
confermando il raggiungimento della completa maturità artistica da parte della
band. Prevalenti i brani dell'album "We Used To Think The Freeway Sounded Like
A River", ma non mancano anche brillanti esibizioni di brani storici quali i quasi
otto minuti dell'introduttiva White Line Fever, la ballata Contrails
o la desertica strumentale El Tiradito.
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