A
dieci anni dalla pubblicazione di Stranger's Almanac rievocare
la cometa Whiskeytown è un atto doveroso. Lo zenith del
giovane rock provinciale americano, il disco che ha prefigurato il passaggio
dal suono angusto e rurale dell'alternative country verso un pubblico
più ampio. A metà strada fra campagna e città, fra
indipendenza e mainstream, i Whiskeytown non sono stati solo la palestra
del talento irritante di Ryan Adams, ma una splendida rock'n'roll band
dalla vita travagliata
di Fabio Cerbone
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Il ritratto
Formed: 1994, Raleigh,
North Carolina, USA
Disbanded: 1999 ca.
"I started this damn country band
cause punk rock was too hard to sing" Per quanto possa
sembrare costruito, provocatorio, persino un poco parossistico, questo verso rappresenta
con ogni probabilità la migliore sintesi di una stagione breve ma travolgente
del rock americano, quella della sbornia roots avvenuta all'indomani dello scioglimento
degli Uncle Tupelo e che, sotto diverse incarnazioni, ha assunto il nome di no
depression (da cui il famoso magazine musicale), alternative country,
insurgent country e via di questo passo. Era il "ritorno alle radici"
dopo una valanga inarrestabile di chitarre grunge e nuovo hard, di una fragile
eppure vitale imposizione del cosidetto alternative-rock americano dentro le maglie
strette e pericolose della grande industria discografica. All'indomani della "caduta
degli dei", delle tragedie personali che coinvolsero non solo la facciata
più vistosa (la vicenda umana di Kurt Cobain e tutto ciò che ruotava
intorno ai Nirvana), ma un intero movimento, il rock'n'roll sembrava voler cercare
un appiglio sicuro dove leccarsi le ferite, un rifugio nel passato che non si
sarebbe rivelato affatto semplice revival, semmai una rigenerazione di senso partendo
dalle propria fondamenta. Anche la piccola scena cittadina di Raileigh,
North Carolina, e della contigua Chapel Hill, sono coinvolte da questo riflusso,
mostrando una continuità con quel mondo delle college radio che proprio
da quelle parti ha svolto un ruolo essenziale nel nutrire i musicisti locali.
Archers of Loaf e Superchunk sono piccole leggende salite alla ribalta nazionale,
mentre il verbo roots comincia a diffondersi grazie a Backsliders e Red Star Belgrade.
Ryan Adams - che è infine l'autore di quei versi citati in apertura,
tratti da una primordiale Angels are Messengers from God poi trasformatasi in
Faithless Street - approda nei club di Raleigh nel momento esatto in cui
l'apertura verso le "radici" sembra conquistare consensi anche fra il
pubblico più giovane. Ci arriva portandosi appresso da Jacksonville, luogo
di crescita e formazione, tutti gli stereotipi di una adolescenza un po' turbolenta
(padre assente, scuola abbandonata) e soprattutto di un amore dichiarato per il
punk. The Lazy Stars e quindi The Patty Duke Syndrome sono solamente alcune tappe
di quella ferocia giovanile, rock'n'roll band durate lo spazio di un secondo e
di qualche fugace singolo, dove l'insoddisfazione e la ricerca di una propria
via espressiva devono ancora trovare l'esatta formula. L'incontro con il violino
di Caitlin Cary e le chitarre dal deciso piglio twangy di Phil Wandscher
conducono naturalmente le sue canzoni fra le braccia del rinascimento alternative
country. A metà strada tra inferno e paradiso, fra hardcore punk, rozzo
rock stradaiolo cresciuto sulla linea maestra degli Stones ed echi di country
rurale, il suono Whiskeytown prende forma e sostanza. La band sembra possedere
la fragilità romantica del padre putativo del country rock, Gram Parsons,
vera ossessione al tempo per Adams, così come la poesia trasandata e la
perdita di controllo di Paul Westerberg e dei suoi Replacements. Sono riferimenti
artistici imprescindibili, ma che non imprigionano in una formula le ballate dei
Whiskeytown, meno aspre di quelle dei maestri del genere Uncle Tupelo, già
rivelatrici invece di un'anima rock più classica. Adams rievoca la desolazione
della provincia, i fantasmi dell'alcolismo e canta di angeli e cuori spezzati,
mettendo in mostra un songwriting acerbo, naif, ma dalla presa facile. All'inizio
la band si lascia condurre da una certa democrazia interna, poi si intuiscono
le differenze di talento in campo. Si spezzano da subito gli equilibri interni
e Ryan Adams diventa l'istrione intrattabile, la strafottente star in ascesa di
un genere non genere che comicia ad espandersi a macchia d'olio sulla cartina
musicale americana. Bruciano le tappe i Whiskeytown e implodono su se stessi,
cambiando musicisti, produttori, etichette, fino a raggiungere la naturale eclissi.
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Il capolavoro
Stranger's
Almanac [Outpost/ Geffen 1997]
1.
Inn Town // 2. Excuse Me While I Break My Own Heart Tonight // 3. Yesterday's
News // 4. 16 Days // 5. Everything I Do // 6. Houses on the Hill // 7. Turn Around
// 8. Dancing With the Women at the Bar // 9. Waiting to Derail // 10. Avenues
// 11. Losering // 12. Somebody Remembers the Rose // 13. Not Home Anymore
Lost
on the way, nella terra di nessuno tra Hollywood
e Nashville, Stranger's Almanac rappresenta l'azzardo di una rock'n'roll
band che dalla provincia scorge le luci della grande città e trova la sintesi
perfetta fra le diverse anime del suo songwriting. Registrato tra la California
e il Tennessee, una simbolica dicotomia fra due mondi distinti, prodotto da Jim
Scott (da Tom Petty a Neal Casal e Wilco un nome che ha segnato l'american rock
dei '90), il disco cattura un momento irripetibile della breve parabola di Ryan
Adams e soci. I tumulti in seno alla formazione sono già in atto: Phil
Wandscher partecipa alle session ma all'atto della pubblicazione si è già
eclissato prendendo un'altra strada, mentre i nuovi arrivi di Jeff Rice, Joe Ginty
e Steven Terry non sono che un diversivo nelle mani dello stesso Adams. E' lui
a condurre i giochi dall'inizio alla fine, seppure l'apporto di Caitlin Cary
alle armonizazzioni vocali e nell'intreccio fra il suo violino e le chitarre non
vada assoluatente sottovalutato. Così, le promesse del precedente Faithless
Street si realizzano pienamente dentro un suono che sa di radici e country rock
provinciale, senza per questo risultare ghettizzato in un genere ben definito.
Il roots rock dei Whiskeytown esplode nei mille rivoli della tradizione americana
e si scrolla di dosso la semplice nomea di alternative country. La solennità
di Inn Town e i colpi al cuore di Dancing
With the Woman at the Bar rievocano highway deserte e motel di quart'ordine,
i sobbalzi di Excuse Me While I Break...(con
il cameo vocale di Alejandro Escovedo) e il ciondolare serafico di Houses
on the Hill e Somebody Remembers the Rose
sono un'altra, l'ennesima, preghiera per Gram Parsons, ma al di là
del guado attendono guardinghe le stilettate elettriche di Yesterday's
News e Waiting to Derail, un ottimo
compromesso che discende direttamente dai Replacements. 16
Days è la perfezione del rock "on the road",
mentre i fiati spruzzano di soul Everything I Do,
e l'oscurità si impadronisce diTurn Around.
Tutto serve ad amplificare il talento in divenire di Ryan Adams, la sua voce capace
di rompersi in mille schegge di rock'n'roll e al tempo stesso cedevole alle più
intime fattezze del folk. E' il 1997, Stranger's Alamanac diventa la bibbia del
movimento alternative country, allineandosi allo spirito dei tempi: coglie l'apice
di un'epoca ma un attimo dopo è già oltre, fra i classici e non
schiacciato nei sottogeneri del rock.
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Dischi essenziali
Faithless Street [Mood Food 1996/ Outpost
1998]
Due
vite, una sola storia per questo esordio (preceduto in verità da un irrintracciabile
Angels E.P.) che introduce al mondo del rock provinciale americano la rivelazione
Whiskeytown. Alla riedizione del 1998, ampliata generosamente da brani
inediti e dalle cosidette baseball park session, faremo riferimento per
forza di cose. Meno spontanea rispetto alla versione originale per la piccola
Mood Food uscita nel 1996, la nuova veste di Faithless Street testimonia
tuttavia la crescita esponenziale del songwriting di Ryan Adams e le frizioni
con gli altri membri del gruppo. La prima stesura del disco è acerba come
il migliore suono roots rock, un matrimonio perfetto di rabbia punk e scorza country.
L'honky tonk è dentro il cuore, fuori restano soltanto chitarre gracchianti
e canzoni che rimestano nella desolazione delle small town (Midway
Park, Mining Town), nella mancanza
di prospettive e in quell'abbandono alcolico (Too Drunk
to Dream) e disperato (Faithless Street,
Black Arrow Bleeding Heart) che conduce i
Whiskeytown sui sentieri dei migliori discepoli degli Uncle Tupelo. Così
infatti li scambiano al tempo, salvo accorgersi che sotto le sembianze ruvide
di un rock'n'roll da perifieria (valga per tutti la rissosa Revenge)
cova un'anima malinconica e folkie, che comincia ad affacciarsi in Empty
Baseball Park, Here's to the Rest of the World,
nella dolcissima Factory Girl, fulcro delle
citate baseball park session. Di quei giorni Ryan Adams dirà di
ricordarsi soltanto quello che la band aveva da bere...oggi rimane qualcosa di
più, un esordio tra i migliori del decennio
Pneumonia [Lost Highway 2001]
Voce
affettata, piano e armonica che si distendono su una morbida coperta pop: The
Ballad of Carol Lynn espande le corde del sentimento e detta i toni
dell'intero disco. Pneumonia è un oggetto parzialmente incompreso
nella brevissima discografia dei Whiskeytown. Un lavoro sofferto nella
gestazione - l'improvvisa chiusura della Outpost lo lascia nel limbo, posticipando
la pubblicazione praticamente all'indomani dello scioglimento del gruppo - eppure
di infinita grazia compositiva, la prova generale per Ryan Adams prima
di spiccare il volo. La band è stravolta nel giro di pochi mesi, i tempi
di Stranger's Alamanac sembrano un'epoca lontana e mitizzata: con l'ingresso di
Mike Daly (strumentista di raffinate doti tra chitarre, pedal e lap steel)
e le collaborazioni sparse che vedono entrare e uscire dallo studio James Iha
(Smashing Pumpkins), Tommy Stinson (Replacements) e molti altri, è
facile pensare ad un disco raffazzonato, "fasullo", chiuso in fretta.
Niente di più sbagliato, perchè Pneumonia è un canto del
cigno malinconico e struggente, una poesia all'imbrunire, in cui l'incontro provvidenziale
con il produttore Ethan Johns addolcisce il cuore di Adams e sfrutta appieno
le armonizzazioni e il magico violino di Caitlin Cary (l'unica sincera
superstite dei giorni di gloria), portando a galla delisiose filastrocche country
rock (Don't wanna Know Why, Bar Lights), tenere
confessioni (Jacksonville Skyline, Reason
to Lie, la dolente Easy Hearts)
che sono un'ode a Gram Parsons e nel contempo l'anticipazione dell'esordio solista
di Adams, lussureggianti azzardi pop rock (Don't Be Sad,
la beatlesiana Mirror, Mirror), persino esperimenti
lo-fi un poco irritanti (What the Devil Wanted).
Un degno commiato
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Il resto
Rural Free Delivery [Mood Food 1997]
Ep
di otto brani che nasce sotto l'effetto Stranger's Alamanc. Infatti, la Mood Food,
etichetta che tiene a battesimo i Whiskleytown, decide arbitrariamente
di dare alle stampe il frutto delle prime session della band nella primavera del
1995 (alcune contenute nel citato Angels E.P.), sfruttando la piccola notorietà
acquisita fra il rinascimento roots dell'epoca. Ryan Adams smentirà
più volte la validità di queste incisioni, lasciando intuire tutto
il suo disappunto per l'operazione...si sa come vanno a finire queste storie di
ordinario rock'n'roll. Nella sostanza però Rural Free Delivery è
un raccolto più che dignitoso ed una curiosità non indifferente
per i fan più accaniti. Dentro covano canzoni ruvide (Captain
Smith) o solo abbozzate (Tennessee Square
e Angels Are Messengers From God le ritroveremo
sotto altre spoglie nelle session di Faithless Street), un country rock screziato
e irriverente (il ballonzolare bluegrass di Macon,Georgia County Line ed una Oklahoma
che sembra rubata al primo lp degli Uncle Tupelo, con quei continui stop&go),
che infine nella scelta della cover - Nervous Breakdown
dei Black Flag - la dice lunga sulle origini del movimento alternative country
e su quel suo tentare un matrimonio sacrilego fra tradizione e punk rock