C’era una luna ritratta in copertina sul precedente
Beat the Night, e una luce
da raggiungere dopo avere attraversato il buio del dolore, e c’è un
sole che risalta su quella di To the Light, obiettivo
conquistato dopo essersi rialzati. Anche la grafica - in entrambi i
casi curata da Deborah Maggioncalda - conferma il legame fra i due album
di Edward Abbiati, ex voce e leader dei Lowlands che torna alla
produzione solista con una manciata di canzoni che rappresentano l’altra
faccia della medaglia, un percorso simmetrico dal prevalere acustico
all’abbondanza elettrica, dall’anima delle ballate all’energia del rock'n'roll,
ma soprattutto dal tenore privato di Beat the Night alla ricerca
di una condivisione della strada, dei sentimenti, dei propri stessi
errori e sconfitte, in questo To the Light.
L’album conferma anche la capacità di Abbiati di non nascondere le emozioni,
di tradurle in un linguaggio rock immediato e romantico che non fa mistero
dei suoi punti di riferimento, quella linea che dalla Minneapolis di
Replacements e Soul Asylum approda sul Jersey Shore di Springsteen e
Southside Johnny, magari passando per la Nashville di Steve Earle. In
questo senso l’apertura con Three Chords and
the Truth riassume più di mille spiegazioni e contiene quella
vecchia massima (attribuita al songwriter country Harlan Howard) che
bene si adatta a chiunque voglia mettere in chiaro la propria scelta,
artistica e esistenziale, a costo di pagarne il prezzo. L’attacco di
basso (Enrico Fossati) ha un’anima punk, lo sviluppo è coerente e finisce
per trascinare anche la successiva Nothing Left to Say, dove
cominciano a emergere i contrubuti essenziali di Maurizio “Gnola” Gliemo,
ormai spalla chitarristica fondamentale, che dalle sue radici southern
blues si adatta e trasforma con Abbiati in un’arma elettrica più tagliente,
mentre l’ospite Joey Huffman (guarda caso un’esperienza con i Soul Asylum)
all’organo Hammond offre colori e respiro alle canzoni.
E c’è una lunga lista di amici e ospiti internazionali a impreziosire
questo lavoro, ma non per inutile sfoggio personale, quanto per condividerne
l’approccio e il sound, tutti nella stessa direzione: dalla batteria
di Winston Watson (Bob Dylan, Giant Sand), presente in quattro episodi
(al resto ci pensa Mattia Martini), alla lap steel di Mike "Slo Mo"
Brenner (Magnolia Electric Co., Marah), fino agli ottimi arrangiamenti
degli archi curati da David Henry, senza tralasciare alcuni compagni
di strada come Stiv Cantarelli (The ACC), Marco Diamantini (Cheap Wine)
e Francis Carnelli (Mama Bluegrassband).
Ognuno entra in gioco e fa la sua parte, lasciando però al centro le
canzoni di Edward Abbiati, che affrontano passaggi della propria esistenza,
scavano nei ricordi, sembrano trarre degli insegnamenti e poi si rimettono
in marcia: Just About Now lascia
entrare dalla finestra la brezza leggera dei fiati e degli archi in
dialogo con la chitarra solista di Gnola e si rivela uno degli episodi
più riusciti; le altrettanto convincenti Coast of Barcelona e
To the Light potrebbero uscire dalla stagione più matura dei
Mats o dal primo Paul Westerberg solista; Going Downtown alza
il tiro e chiama alla rivolta con un suono rock blues più crudo, mentre
Rags (London W12 1998) è un momentaneo placarsi dell’anima con il
suo docile respiro country folk dettato da dobro (Brenner) e accordion
(Francesco Bonfiglio).
To the Light rappresenta così una sorta di cammino a tappe,
personale e musicale, ribadito dal trittico finale, esattamente nella
direzione di quel bagliore, con un crescendo nei suoni e negli arrangiamenti:
la tromba di Max Paganin accompagna lo “sforzo” di Stairs to the
Stairs, intensa ballata elettrica che allarga la sua melodia strada
facendo e che piacerebbe parecchio ai dimenticati Marah (Abbiati fu
complice del primo arrivo in Italia della band americana, diversi anni
fa); One Step at a Time, un passo alla volta, ci si rimette così
in piedi con la spensieratezza di un rock’n’roll dalle accese tonalità
soul; di nuovo in strada, l’oscurità alle spalle, il messaggio è infine
di speranza, una Love Note da spedire
a chi ci sta attorno e ci vuole bene, nel brano più corale dell’intero
album, una piccola “Born to Run”, si passi il paragone, per Edward Abbiati,
che sembra ricordare a se stesso e a chi lo ascolta cosa davvero conta
nella vita.