La strada, quella strada, prima di tutto. E il romaticismo di quel rock che si
nutre dei margini senza vergognarsi del suo essere "fuori tempo", almeno secondo
le regole (imposte) di chi ha già tracciato il presunto futuro del rock'n'roll.
Cesare Carugi ha ben presente il mestiere del songwriter e dove lo potrebbe
infine condurre, nonostante l'asfalto e le indicazioni di Here's to the
Road non finiscano affatto, come si potrebbe pensare, in qualche small
town americana, semmai nel centro di Cecina, Toscana, luogo da cui ha ripreso
i fili della sua passione, grazie ad una recente produzione discografica (l'esordio
con l'ep Open 24 hours). Poco importa questo scarto geografico, perché parlando
di periferia, storie e sentimenti personali, Cesare mette a frutto il suo immaginario
formatosi sui migliori testi d'oltreoceano, risultando credibile e superando ogni
sorta di preconcetto o rimostranza. Il disco, infatti, restituisce un suono, una
personalità che per interpretazione, arrangiamenti, fedeltà alle proprie ispirazioni
non solo raggiunguno gli espliciti modelli di riferimento dell'Americana e del
country rock d'autore, ma sembrano tracciare un proprio punto di partenza, al
tempo stesso indicando una via all'intera, agguerrita scena italiana.
Non
ci sorprende più scoprire lavori della qualità di Here's To the Road al di fuori
dei canali ufficiali e più sbandierati: ci piace pensare che una parte del merito
vada anche condivisa con la nostra comunità, che in questi anni ha aggregato e
acceso i riflettori su musicisti italiani spesso più preparati e profondi nei
loro amori musicali rispetto a tanti outsider della stessa provincia americana.
Here's to the Road rientra in questi obiettivi e risplende di alcune piccole perle
di rock stradaiolo, fra tempi medi e ballate elettriche che mettono insieme il
sound del country rock, la generosità di Tom Petty, la scrittura blue collar (e
la presenza dell'ospite Michael McDermott nella pianistica, struggente
Dakota Lights & the Man Who Shot John Lennon
ne è una conferma) e infine un carattere già formato da anni di passione. Cesare
Carugi dal canto suo offre una vocalità non così comune per il genere, limpida
e assai credibile (limite che ha spesso affossato tentativi simili in Italia)
che nei primi sei brani di Here's to the Road incassa una sequenza quasi impeccabile.
Pur con tutti i limiti di una produzione indipendente (ad ogni modo bilanciata
e attenta al cuore del songwriting) Too Late to Leave
Montgomery, Blue Dress e Goodbye
Graceland tracciano un sentiero di parole e immagini inequivocabile,
mentre London Rain si fregia persino di una
melodia sottilmente malinconica che guarda anche al di fuori dei territori dell'Americana.
Il piccolo miracolo però si chiama Caroline
ed è una delle ballate folk rock più intense che siano girate di recente, impreziosita
dal violino di Fulvio T. Renzi e dalle backing vocals di Giulia Millanta. Proprio
queste familiari presenze, soptrattutto per chi frequenta queste pagine, sono
il segnale di quella evocata comunità: le collaborazioni con Riccardo Maffoni
(in una 32 Springs che echeggia Jersey sound)
e Massimiliano Larocca (l'asciutta chiusura folkie di Cumberland)
tra gli altri sono il sintomo di una visione comune e naturalmente anche una parte
della responsabilità che ha attirato Cesare Carugi fuori dal suo guscio. Ci piace
pensare allora che Here's to the Road sia soltanto l'inizio, per una maturazione
tutta in divenire.