[Home]
|
||
inserito
14/12/2009
|
Conviene forse partire da Hidden Desert,
tributo alla musica degli immensi Thin White Rope, per capire l'oscura
natura dei Van Cleef Continental, rock'n'roll band coalizzata intorno
alla voce e alle canzoni di Andrea Van Cleef, già dei Bogartz ed oggi
animatore di un rock scuro e denso. In quell'omaggio ritroviamo gran parte
delle suggestioni che animano Red Sisters, di comune accordo
con le murder ballads di Nick Cave, il folk rock dalle tinte fosche di
Woven Hand e Sixteen Horsepower, e naturalmente ai loro padri putativi,
i Gun Club di Jeffrey Lee Pierce. Questo idealmente il pantheon evocato
dalla formazione italiana, orgogliosa immaginiamo di poter sfoggiare un
contratto americano (la Steam Machine ha pubblicato il disco in questione
con più di un anno e mezzo di anticipo) e un respiro internazionale per
le proprie composizioni. Tutto meritato va detto, per un lavoro che sancisce
la definitiva maturazione del loro sound, da noi seguito con attenzione
fin dagli esordi: il baricentro si è spostato dall'anima più "tradizionalista"
degli inizi verso un rock lascivo e noir (Then
She Said, In a Red room),
dai tratti epici, gioco forza amplificato dalla voce profonda del leader
e da un buon intreccio fra chitarre e pianoforte. Le tentazioni a tratti
sono quelle di sconfinare apertamente in un crudo linguaggio punk (Fire
in my Bones), lambendo territori fra il grunge e le memorie
del cosiddetto Paisley Underground (Dry Queens,
Catherine Walks on the Water) altre
di tingersi di denso romanticismo pop (la curiosa cover di Moonlight
Shadow, seppure fra le meno intriganti nell'arrangiamento),
ma va da sé che il lato più "peccaminoso" della loro musica appaia al
tempo stesso il più trascinante e convincente, dalla torbida White
Woman ad una Anna Lee che
farebbe impazzire di "gioia" David Eugene Edwards dei citati
Woven Hand. I tormenti e i luoghi oscuri dei Van Cleef Continental, le
stesse liriche combattute fra desiderio e abbandono, ci raccontano di
una band dalle potenzialità pienamente espresse.
Da un'esperienza che ha più punti in comune con i Van Cleef Continental
fuoriescono anche The Union Freego, ormai consolidati come quartetto
con una coppia di chitarre rugginose e un portamento degno del migliore
alternative country americano. Sono lombardi ma i loro sogni si colorano
inesorabilmente di una tradizione lontanissima, la stessa che ci ha regalato
Richmond Fontaine, Magnolia Electric Co e quel suono di provincia più
desolato e desertico. Dopo la breve cartolina spedita nel 2005 con Greetings
From The NE, ep di quattro brani che lasciava sul campo qualche promessa,
il nuovo raccolto di Hard Folk Lightning Sucker, dieci brani
che avranno presto un secondo capitolo (previsto nel 2010), è una sorpresa
oltre ogni aspettativa, uno dei migliori prodotti alt-country ascoltati
in Italia dai tempi di Satellite Inn e Goldrust, altre piccole e coraggiose
realtà fuori dagli schemi dell'indie nostrano. Vecchi brani rivisitati
e nuove composizioni trovano un suono personale e per nulla soggiogato
ai più famosi cugini americani: le morbide cadenze dell'apripista Out,
la malinconia folk alla Palace bros di Six Feet
Under, una ciondolante Lord Forgive
che è la quintessenza del genere sono tutti episodi che colgono nel segno,
sia per la cura degli arrangiamenti, sia per la convinzione interpretativa.
Sfido davvero chiunque a non "confondere" i quattro The Union Freego con
uno dei tanti talenti del sottobosco rootsy americano che affollano queste
pagine. Con la differenza niente affatto scontata che la qualità dei brani
è di prima scelta: fedeli ad un canovaccio, per qualcuno forse sintomo
di scarso carattere, mi pare invece che la dolcisima cantilena acustica
di Judo #2, da apparentare con la
flessuosa WW, e ancora una Hole
In My Soul che si trascina appresso un organo in odore di Paisley
Underground (i Green on Red più campagnoli?) siano nell'insieme una dimostrazione
di gusto e preparazione non irrilevanti. Se poi di contorno abbiamo dimenticato
colpevolmente il gracchiare younghiano di Ballad
For A Folk Singer, elettrica come solo i Crazy Horse, o di
una lunga cavalcata dal titolo Date With The
Devil, è soltanto un dettaglio. L'intero Hard Folk Lightning
Sucker è caldamente suggerito a chi da sempre resta affascinato da queste
sonorità un po' crepuscolari ed elettro-acustiche.
|