Blues Ghetto
Down in the Ghetto
[Blues Ghetto 2017]

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File Under: vintage blues

di Pie Cantoni (06/11/2017)

Quello che suonano i Blues Ghetto è "el blues de Milan", perché, come ci insegna la band nelle note di copertina, il ritmo pulsante e ancestrale di questa musica che arriva dagli States, ma con radici ben più arcaiche, vibra in tutto il mondo, anche fra le stradine dei Navigli o nei sottofondi della periferia meneghina. Ed è li, pronto per essere raccolto ed adattato da chi è sufficientemente ricettivo da sentirlo battere sotto la propria pelle, sia esso nero, bianco, americano, europeo, di un sobborgo di Chicago o di zona San Siro. Poco importa. Il blues è un linguaggio non verbale, è uno stato d'animo, e in quanto tale non ha connotazione geografica. Né tantomeno di colore della pelle.

Ecco allora la ragion d'essere di un quartetto milanese che ripropone il blues elettrico anni '50, ovvero quasi settant'anni fa, che andava per la maggiore quando sui palchi c'era gente come Muddy Waters, Howlin' Wolf, Little Walter e molti altri. Nomi che adesso suonano familiari solo agli adepti, ma che ai tempi erano più noti di Justin Timberlake e Lady Gaga messi insieme (ok, forse esageriamo un pelo...). Tanto famosi che quello sparuto gruppo di musicisti neri gettò le basi per altri 50/60 anni buoni di nuove generazioni di musicisti e tonnellate di good vibrations. Il combo milanese, all'attivo da un paio di anni, è composto da Sergio Cacopardo, chitarra, Marcus Tondo, voce e armonica, Alessandro Porro, contrabbasso e Giancarlo Cova alla batteria, figure note della scena blues di Milano e non solo. Quartetto classico, così come classico è il repertorio. Qualche sfumatura zydeco o jump blues alla T-Bone Walker, ma l'ossatura è fatta dal blues di Chicago, elettrico, schietto, quello che nel percorso evolutivo del genere sta a metà fra il tribale blues mississippiano e il virtuosismo con relativo imbastardimento di quello più moderno e colto.

Qui c'è spazio solo per il blues elettrico prima maniera, puro e diretto, quello più godibile e ballabile, quello dei grandi padri fondatori. Quello che si ascoltava nei juke joint per liberarsi di dosso le fatiche del quotidiano. Quindici brani in tutto, tre a firma di Cacopardo, Down There (bel ritmo sincopato), lo shuffle My Home is in the Ghetto e Miles Away (unico lento del disco), uno a firma Tondo, Wilson Boogie (dove l'armonica sembra a tratti una fisarmonica zydeco), il resto pescato nel grande repertorio blues, fra grandi classici come Ain't Gonna Do It del recentemente scomparso Antoine "Fats" Domino, Two Bones and a Pick di T-Bone Walker, o Ah'w baby di Little Walter (anche se risulta difficile riuscire a replicare il tono lamentoso e acuto di Little Walter alla voce). Poi ancora si passa da Big Joe Williams a Clarence Gatemouth Brown, da Muddy Waters a John Lee Hooker. Stomp, boogie, shuffle, ci sono tutti gli elementi per un'ora di buona musica ritmi goderecci.

Non aspettiamoci niente di nuovo, ma non è questo l'intento del gruppo, qui si tratta di attaccamento alle radici e profondo integralismo blues. L'unico integralismo che ci piace. La dimensione studio, anche se in forma di live in studio, non è quella che la band veste al meglio, sicuramente più a proprio agio in un piccolo locale che trasuda l'energia di chi balla al ritmo dei loro boogie. Ciononostante il gruppo si muove bene anche all'interno di una sala di registrazione. Quindi bel lavoro dei quattro musicisti milanesi. Speriamo di vederli presto esibirsi su palchi di prestigio internazionali. In caso contrario andremo noi a stanarli nel loro ghetto.


    

 


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