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inserito
09/03/2007
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Lowdown
Fellows Con una "prefazione" (interna al cd) di Luigi Monge a tutte
le difficoltà del fare blues in Italia oggi, la giovane formazione genovese
dei Lowdown Fellows investe in questo progetto, che non a caso
si intitola Hard Times. E per il blues va sempre così, tempi
duri allora e tempi duri adesso, che la musica del diavolo sembra non
trovar mai pace da che l' hanno bollata a quel modo. "Tempi Duri", ma
niente affatto acerbi, visto che lo stesso proliferare dei festival di
queste ultime annate (ce ne sono state di peggiori) ha garantito alla
band di più recente formazione un'iniziale visibilità sia nel contesto
del Blues Channel 2003 a Canale d'Alba come al Blues&Soul Festival di
Sestri Levante, comunque aperti all'Europa. Lasciamo allora al titolo
di contestualizzare le cover del cd, che insieme ai quatto originali a
firma di Casali, ci dicono che in fondo un altro gruppo è pronto alla
sfida del Chicago Blues, a farsi largo nella strada oggi inflazionata
(in bene e in male) del contesto italiano: ed è forse questa, soprattutto,
la maggior difficoltà attuale. Alberto Vigliarolo ed Ezio Cavagnaro,
armonicista e batterista, reduci da precedenti esperienze (in comune quella
dei Midnight Special col chitarrista Alberto Casali) la accettano
e col giovane bassista Pietro Martinelli intraprendono questa
loro "blues crusade". Hard Times infila uno dietro l'altro i classici
che il più delle volte sono il campo di prova di chi fa blues, con la
sola differenza che una particolare ricerca sonora alza il tono di queste
reinterpretazioni, affatto banali. Colpisce per esempio l'ottima resa
di Pretty Thing di Bo Diddley, che sebbene perda nel cantato di
Casali, resta comunque un'esecuzione impeccabile di chitarra e armonica,
quand'anche di esercizio stilistico. L'ululato delle ance fa il verso
a Sonny Boy Williamson II col cavallo di battaglia di Eyesight To The
Blind o dell'interessante Keep It Yourself nell'approccio di
Vigliarolo, che alterna a Casali una voce più profonda, ma non dai risultati
particolarmente differenti. Il disco risulta così molto meglio sul supporto
strumentale, in particolar modo quando l'intervento del chitarrista blues
genovese Antonio "Candy" Rossi arricchisce non soltanto le due
precedenti songs, ma pure una classica You Can't Lose What You Ain't
Never Had di Muddy Waters e l'Everything's Gonna Be Alright di
Little Walter. Gli originali di cui sopra sono ciò che offre quindi al
disco quel qualcosa in più, che manifesta l'abilità dei musicisti in pezzi
come Blues Anytime o How, dove emergono nel cantato di Casali
un curioso mood alla John Mayall e un particolare tocco chitarristico,
al culmine nelle virtualità stilistiche della band con la strumentale
Albert's Boogie in chiusura. I Got I Girl non aggiunge nulla
a un lavoro ben suonato, con alti e bassi ma buone potenzialità nella
produzione propria. |