inserito 27/06/2007

Stefano Barotti
Gli Ospiti
[Club de Musique/ IRD  2007]

1/2

Ci aveva convinto Stefano Barotti: così, al primo colpo, e per giunta con canzoni che tradivano una maturità collocata ben oltre la sua breve avventura discografica. A tre anni da Uomini in Costruzione, lodevole tentativo del giovane cantatore toscano di incrociare una melodia squisitamente mediterranea con strumenti, echi, visioni americane, grazie anche alla co-produzione di Jono Manson, ritorniamo a parlarne in occasione del seguito, Gli Ospiti. E ci tocca confermare ogni singola annotazione fatta in precedenza, perché seguendo un percorso ormai definito e consapevole il nuovo lavoro porta a compimento le intuizioni del passato attraverso undici brillanti episodi di folk rock italiano. Una via più personale questa volta, eppure sempre contraddistinta dalle sonorità dei musicisti americani che hanno collaborato alla stesura delle canzoni: prodotto e registrato infatti fra il New Mexico, la Liguria e la Toscana, con le attenzioni del solito Jono Manson, nome di casa alla Club de Musique, intrecciato da fini artigiani musicisti, sia italiani (Gabriele Ulivi, Paolo Bonfanti, Marco Barotti tra gli altri) sia americani (praticamente molti collaboratori di lungo corso di Manson, tra cui le chitarre di Kevin Trainor, e in aggiunta la batteria di Mark Clark, il basso di Peter Williams, organo e piano di Chris Ishee, banjo di Tom Adler), Gli Ospiti sfrutta ancora una volta la leva di una scrittura ricca di immaginazione e dettagli, di richiami nostalgici e favolistici per imbastire ballate dalla musicalità semplice, dove si incrociano suoni elettro-acustici mai fuori le righe. La prima parte appare la più disinvolta e giocosa, una sorta di prosecuzione e completamento ideale dell'esordio: Tempo di albicocche e L'angelo e il diavolo aggiungono una sezione fiati (sax, tromba, filicorno di Vittorio Alinari e Marco Bartalini), la prima restando fedele al canovaccio folk rock, la seconda, deliziosa, spostandosi vero linee quasi soul. Vive dentro una canzone ritrova la strada del passato, una delle ballate più dirette e "americane" del disco, un sentiero tra canzone d'autore e sonorità roots che ritorna nell'immaginifica Il costruttore di ali, nonostante Natale sui monti e La neve sugli alberi tentino un approccio più personale. Strada facendo Stefano Barotti sembra concedersi di più alla riflessione, influenzando la struttura dei brani: questi ultimi acquistano nel finale una fisionomia più intima, da Il profumo dei sogni alla stessa Gli ospiti, sino alla chiusura acustica di Piccola canzone esce allo scoperto un forma canzone più introspettiva, ma sempre attenta al particolare. Una prova di grande maturità e crescita personale dell'artista.
(Fabio Cerbone)

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