inserito 02/03/2009


Davide Ravera
 Dr. Dave & Mr. Haze  [HazyMusic  2008] 7
Agghiastru  Disincantu  [Inch/ Audioglobe 2008] 7
12 Corde Il viaggio [Decam 2007]
6

Perseveranza, ovvero fermezza e costanza di propositi, opinioni e opere. Queste "2001 recordings" ci hanno messo sette lunghi anni (sull'importanza del numero 7 date un'occhiata, per esempio, a Wikipedia), ma alla fine hanno visto la luce. Operazione importante per Davide Ravera, doveroso ricordo delle esperienze del passato (alcune dolorose, ma anche tanti viaggi tra Europa, India e Africa), per passare senza rimpianti a presente e futuro, con un disco in italiano registrato in studio e intitolato Bolero. Ma veniamo a Dr. Dave & Mr. Haze, diviso in due parti: la prima registrata durante uno show alla radio olandese Vara One, con la presenza di Anna Palumbo all'accordion ad ingentilire le tracce, la seconda (più corposa) composta di homemade recordings in solitaria; il tutto rimasterizzato presso i Sex Blues Studio di Reggio Emilia. Sin da Sonya Yana Meme Komba il disco prende il volo, anche se con Big City Blues (tra zydeco e rock'n'roll) e Born In A Minor Key si avverte la mancanza di una band. Wind From Seattle è disarmante nella sua splendida, ingenua ("let the kids come out to play and resurrect a dream that's fine, a brand new season's just on time"), semplicità. Headful Of You, I Got 2 Girls e Without A Smile sono omaggi agli amati cantautori texani (Townes Van Zandt su tutti). I Wish I Was In Barcelona gioca tra profumi di late night hours e ritmi spagnoleggianti. Se Crazy è potenzialmente un ottimo rock, con Shades Of Blue e Wired si ritorna alle atmosfere intimiste care ai vari Guy Clark e compagnia. Red Light Angel è ben giocata sulla slide, Woman's Revenge è un fragile acquerello, Rock'n'Roll Preacher ("he's gonna write a letter to the ghost you keep inside") è dedicata allo scrittore Hank Beukema. La lunga Lighthouse ("friends they move to nowhere with paintings on their minds") è forse il manifesto dell'album, ma probabilmente è anche il manifesto della sua vita
(Luca Borderwolf Vitali)
www.davideravera.com

Agghiastru, ovvero "ulivo selvatico" in dialetto siciliano, è il nome d'arte dietro cui si cela il canto e la poesia tormentata di questo autore di Sciacca, Agrigento: il mistero sulla sua identità è parte integrante della musica e del personaggio, con una biografia che parla di trascorsi black metal e folk apocalittico nel progetto Inchiuvatu (un esordio molto apprezzato, Addisiu, ormai risalente a più di dieci anni fa), salvo muoversi lentamente verso una canzone d'autore sempre più ombrosa ed elegante. La riprova è nel qui presente Disincantu, rovescio della medaglia dell'esordio Incantu del 2007, sempre votato ad una certa autarchia nella produzione (Agghiastru suona tutti gli strumenti e si avvale di sporadiche collaborazioni, tra cui oggi si segnala Cesare Basile alle chitarre), ma non per questo penalizzato da alcuna approsimazione compositiva. L'immagine d'insieme infatti riflette una precisa coesione fra testi e musica, tra brani in dialetto siciliano alternati ad altri in italiano che "rubano" sonorità mediterranee (Saru Mantici) e le adattano a qualche scalcinato blues alla Nick Cave (l'Ombra, e le più elettriche e stridenti Tintu e 'Ula Arsa), momenti jazzati e improvvisi scatti ritmici (Campari) piegandole ad un malinconico, tenebroso folk che giustamente gli è valso qualche illustre paragone con realtà americane dedite ad un simile approccio (Idda, Fiori d'Arancio e Crisantemi, Bianco Verginale). Le suggestioni ci sono tutte, ma piuttosto che imprigionare Agghiastru in paragoni angusti, sarebbe meglio sottolineare la qualità dei suoi versi, che hanno un sapore acre e altamente suggestivo nel raccontare l'amore e i suoi tormenti, tra mitologia e chiari riferimenti alla sua terra, di pari passo con ballate che si basano sull'inquietudine di un pianoforte e di un canto forse un po' monotono, ma assai affascinante nella sua ambiguità.
(Fabio Cerbone)

www.agghiastru.com

Sulle note di un folk rock vivace e macchiato da chiare influenze irish, segnaliamo Il Viaggio, ormai risalente al 2007, dei 12 Corde, sostanzialmente un duo di musicisti e autori formato da Andrea Bandi e Roberto Romagnoli. Forti entrambi di una preparzione strumentale non indifferente (diplomati al conservatorio, si giostrano infatti una varietà di sfumature con chitarre, violino, bouzouki, mandolino, fisarmonica, clarinetto e percussioni), si autoproducono, riservando però un piccolo spazio a qualche collaborazione esterna, soprattutto dal vivo (nel finale è presente una versione live del brano La Furmiga, con una differente sezione ritmica). In studio questa indipendenza non produce mancanze vistose, anzi il suono di questo debutto intitolato Il Viaggio è una delle note più positive: le ballate del duo mettono in gioco una folk music dal respiro popolare, suonata con un piglio da autentici busker, il cui grande difetto tuttavia al momento sembra essere l'ingombrante legame con la storia dei Modena City Ramblers (con i quali i 12 Corde hanno peraltro condiviso il palco), un punto di riferimento che a fatica si riesce a tenere nascosto. Si tratta insomma di acquisire più personalità, evitando magari di ricadere in un immaginario romantico ma un po' scontato (Alba d'Irlanda) o di tentare la via di una canzone politica che richiederebbe tuttavia più spessore lirico (Non rubarmi la speranza resta davvero un po' vaga). Vi sono comunque occasioni in cui Il Viaggio sembra aprirsi una propria strada (Johnny controvento, Una storia da ricordare), soprattutto quando i 12 Corde abbracciano idealmente un mondo fatto di personaggi e memorie della propria terra, mischiando così italiano e dialetto (oltre alla citata La Furmiga, troviamo Cla Giosta e A Voi Cantèr una canzòn) alla ricerca di un rapporto fra passato e presente.
(Fabio Cerbone)
www.dodicicorde.it


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