Davide Ravera Dr.
Dave & Mr. Haze
[HazyMusic 2008]
7
Agghiastru
Disincantu
[Inch/ Audioglobe 2008]
7
12
Corde Il
viaggio
[Decam 2007]
6
Perseveranza, ovvero fermezza e costanza di propositi,
opinioni e opere. Queste "2001 recordings" ci hanno messo sette lunghi
anni (sull'importanza del numero 7 date un'occhiata, per esempio, a Wikipedia),
ma alla fine hanno visto la luce. Operazione importante per Davide
Ravera, doveroso ricordo delle esperienze del passato (alcune dolorose,
ma anche tanti viaggi tra Europa, India e Africa), per passare senza rimpianti
a presente e futuro, con un disco in italiano registrato in studio e intitolato
Bolero. Ma veniamo a Dr. Dave & Mr. Haze, diviso in due
parti: la prima registrata durante uno show alla radio olandese Vara One,
con la presenza di Anna Palumbo all'accordion ad ingentilire le
tracce, la seconda (più corposa) composta di homemade recordings in solitaria;
il tutto rimasterizzato presso i Sex Blues Studio di Reggio Emilia. Sin
da Sonya Yana Meme Komba il disco
prende il volo, anche se con Big City Blues
(tra zydeco e rock'n'roll) e Born In A Minor
Key si avverte la mancanza di una band. Wind
From Seattle è disarmante nella sua splendida, ingenua ("let
the kids come out to play and resurrect a dream that's fine, a brand new
season's just on time"), semplicità. Headful
Of You, I Got 2 Girls e
Without A Smile sono omaggi agli amati
cantautori texani (Townes Van Zandt su tutti). I
Wish I Was In Barcelona gioca tra profumi di late night hours
e ritmi spagnoleggianti. Se Crazy
è potenzialmente un ottimo rock, con Shades Of
Blue e Wired si ritorna
alle atmosfere intimiste care ai vari Guy Clark e compagnia. Red
Light Angel è ben giocata sulla slide, Woman's
Revenge è un fragile acquerello, Rock'n'Roll
Preacher ("he's gonna write a letter to the ghost you keep
inside") è dedicata allo scrittore Hank Beukema. La lunga Lighthouse
("friends they move to nowhere with paintings on their minds") è forse
il manifesto dell'album, ma probabilmente è anche il manifesto della sua
vita
(Luca Borderwolf Vitali)
www.davideravera.com
Agghiastru,
ovvero "ulivo selvatico" in dialetto siciliano, è il nome d'arte
dietro cui si cela il canto e la poesia tormentata di questo autore di
Sciacca, Agrigento: il mistero sulla sua identità è parte integrante della
musica e del personaggio, con una biografia che parla di trascorsi black
metal e folk apocalittico nel progetto Inchiuvatu (un esordio molto apprezzato,
Addisiu, ormai risalente a più di dieci anni fa), salvo muoversi lentamente
verso una canzone d'autore sempre più ombrosa ed elegante. La riprova
è nel qui presente Disincantu, rovescio della medaglia dell'esordio
Incantu del 2007, sempre votato ad una certa autarchia nella produzione
(Agghiastru suona tutti gli strumenti e si avvale di sporadiche collaborazioni,
tra cui oggi si segnala Cesare Basile alle chitarre), ma non per
questo penalizzato da alcuna approsimazione compositiva. L'immagine d'insieme
infatti riflette una precisa coesione fra testi e musica, tra brani in
dialetto siciliano alternati ad altri in italiano che "rubano" sonorità
mediterranee (Saru Mantici) e le adattano
a qualche scalcinato blues alla Nick Cave (l'Ombra,
e le più elettriche e stridenti Tintu
e 'Ula Arsa), momenti jazzati e improvvisi
scatti ritmici (Campari) piegandole
ad un malinconico, tenebroso folk che giustamente gli è valso qualche
illustre paragone con realtà americane dedite ad un simile approccio (Idda,
Fiori d'Arancio e Crisantemi,
Bianco Verginale). Le suggestioni ci sono tutte, ma piuttosto
che imprigionare Agghiastru in paragoni angusti, sarebbe meglio sottolineare
la qualità dei suoi versi, che hanno un sapore acre e altamente suggestivo
nel raccontare l'amore e i suoi tormenti, tra mitologia e chiari riferimenti
alla sua terra, di pari passo con ballate che si basano sull'inquietudine
di un pianoforte e di un canto forse un po' monotono, ma assai affascinante
nella sua ambiguità.
(Fabio Cerbone)
www.agghiastru.com
Sulle
note di un folk rock vivace e macchiato da chiare influenze irish, segnaliamo
Il Viaggio, ormai risalente al 2007, dei 12 Corde, sostanzialmente
un duo di musicisti e autori formato da Andrea Bandi e Roberto Romagnoli.
Forti entrambi di una preparzione strumentale non indifferente (diplomati
al conservatorio, si giostrano infatti una varietà di sfumature con chitarre,
violino, bouzouki, mandolino, fisarmonica, clarinetto e percussioni),
si autoproducono, riservando però un piccolo spazio a qualche collaborazione
esterna, soprattutto dal vivo (nel finale è presente una versione live
del brano La Furmiga, con una differente
sezione ritmica). In studio questa indipendenza non produce mancanze vistose,
anzi il suono di questo debutto intitolato Il Viaggio è una delle note
più positive: le ballate del duo mettono in gioco una folk music dal respiro
popolare, suonata con un piglio da autentici busker, il cui grande difetto
tuttavia al momento sembra essere l'ingombrante legame con la storia dei
Modena City Ramblers (con i quali i 12 Corde hanno peraltro condiviso
il palco), un punto di riferimento che a fatica si riesce a tenere nascosto.
Si tratta insomma di acquisire più personalità, evitando magari di ricadere
in un immaginario romantico ma un po' scontato (Alba
d'Irlanda) o di tentare la via di una canzone politica che
richiederebbe tuttavia più spessore lirico (Non
rubarmi la speranza resta davvero un po' vaga). Vi sono comunque
occasioni in cui Il Viaggio sembra aprirsi una propria strada (Johnny
controvento, Una storia da ricordare),
soprattutto quando i 12 Corde abbracciano idealmente un mondo fatto di
personaggi e memorie della propria terra, mischiando così italiano e dialetto
(oltre alla citata La Furmiga, troviamo Cla
Giosta e A Voi Cantèr una canzòn)
alla ricerca di un rapporto fra passato e presente.
(Fabio Cerbone)
www.dodicicorde.it
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