Graziano Romani - Painting Over Rust Freedom Rain 2004 1/2
 

Potrebbe essere lo sguardo sul mondo di un adolescente di qualche tempo fa, quello di Graziano Romani, che scopre la ruggine dietro i mille abbagli colorati del mondo attuale, ma non smette mai di sognare. Painting Over Rust è proprio questo, e quanto ci arriva dalla Terra Dei Sogni (Dreamland) del precedente lavoro di un'anima libera del rock'n'roll, che continua la sua strada più vera e sincera attraverso una musica condita dell'altra America, e delle stesse asperità della sua voce matura e grezza, calda abbastanza da non arrendersi neppure ai margini della fredda notte autostradale. Ad accompagnarlo nel suo viaggio, amici fidati e compagni dai tempi dei Chairs, l'amico Elliot Murphy e Mel Previte, ex chitarrista dello storico gruppo di Graziano, ora ospiti in alcune tra le songs migliori del disco, l'uno in Get Togheter Soon, l'altro nella quinta King Of Brokenhearted e in In The Quest For A Good Time. Il resto, oltre ai due pezzi insieme a David Scholl - quella seconda traccia Brave Enough e la penultima Faithless Time - con la rodata Up In Dreamland band, in corso di perfezionamento proprio mentre durante il tour dell'album precedente nasceva, da alcune acustiche demo-tapes del rocker e da una notte senza meta, il nuovo Painting Over Rust. Su quella cassetta i tredici pezzi che, riarrangiati insieme alle chitarre di Fabrizio "Tede" Tedeschini e al set ritmico di Max Ori al basso e Pat Bonan alla batteria, col sax del mitico Max "Grizzly" Marmiroli e gli archi & keyboards di Francesco Germini, costituiranno l'ossatura di un altro lavoro dall'inguaribile e-street sound. Un album senza nessuna di quelle cover ricercate, che spesso Graziano Romani ama aggiungere ai suoi lavori arricchendole di una grande sensibilità interpretativa, ma a pieno titolo un disco a suo nome, concepito in un songwriting del tutto particolare, che dall'apertura in piena title-track all'ultima canzone, si colora della speranza dietro le difficoltà della vita vissuta. E' questo il suono all'inizio, che non tralascia l'energia neppure nelle più dolci ballads, accompagnate dall'incedere all'unisono di tutta la band. Così ancora Brave Enough tra cori, organo, chitarre quasi simmetrici, o le più elettro-acustiche When Our Souls Ignite e Lonely As A Cloud. Riprende le fila del discorso iniziato con la traccia d'apertura di nuovo King Of Brokenhearted, grande nell'arrangiamento tra sax e chitarre, esplicite nei richiami springsteeniani. Tears In My Beer, malinconica nel giro di basso e nell'ululato di un'armonica lontana, è più notturna ed apre un lato dell'album più vario. E'ancora rock'n'roll per le tracce 7 e 8, Oh Beatiful One, e In The Quest For A Good Time, veloce quest'ultima come una notte di bagordi. Ma è Get Togheter Soon con Elliot Murphy la migliore, con accompagnamento d'archi fantastico, e la seconda voce della guest star più sussurrata e poetica, quanto più bella che mai nell'accostamento alle profondità dell'altra voce leader. Lead Me On, Saint Jude nulla toglie al resto del disco, che avrebbe potuto chiudersi anche qui, se non fosse che From Our Hands è la più differente dal resto, lenta e lontanamente progressiva. Originale negli arrangiamenti e nella melodia tra chitarre e viola, anche Faithless Time, coi controcanti del già citato Scholl. Chiude Thirteen, ed il pensiero ritorna nel pezzo arpeggiato con refrain che non si dimentica, a quel adolescente poco sopra che nonostante tutto, non smette mai di sognare.
(Matteo Fratti)

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