inserito 13/11/2006

Angelo "Leadbelly" Rossi
I Don't Want to Take Nothing With Me When I'm Gone
[Angelo Rossi 2006] 


E' bello aver tra le mani un disco, che già dalla copertina ti comunica qualcosa di profondo. Un titolo, che è anche una didascalia della solitudine in cui si immerge il paesaggio della cover by Paola Cortelazzo, scorcio rubato ad un american landscape da strade blu, come il cielo sullo sfondo. "Non voglio portar nulla con me quando me ne vado"- dice, e par suonare come il monito di un blues grezzo e minimale, che non si cimenta a imbellettarsi coi trucchi che non gli sono propri, e tale è la sua forza evocativa. Angelo "Leadbelly" Rossi ci riprova, sostenendo il peso del suo soprannome, a infilare il contenuto dei suoi blues dal fare ancestrale e a pennello in questa scatola, primitivi e quasi senza tempo, da una dimensione a sé e come recita l'interno: - "..come vecchi ricordi di amori traditi nei deserti dell'anima". Col supporto di batterie e percussioni di Angelo Fiombo, curatore anche della grafica per il presente cd ( che sembra un vecchio lp e anche questa è una riuscitissima operazione ) e di Andrea Cajelli, che ha registrato l'album con Marco Sessa, la colonna sonora insolitamente made in Italy affonda in torbide acque a lambire il Magnolia State, la ricerca sonora addentrandosi pur in quanto le torbidezze acustiche del blues avessero mai resuscitato. E quando la voce sussurrata e cupa di Leadbelly attacca con Lost in Mississippi, l'oscurità sembra davvero scendere sul Delta, non importa dove ci si trovi quando farà buio e quand'anche fossimo in macchina tornando dal lavoro. E' lì che comincia un viaggio a ritroso attraverso la frantumazione dell'attualità sonora, in briciole al momento in cui accenti della voce ululante sull'anarcoide Broken Wheel ricordano il lupo Chester Burnett, il suono Fat Possum…ma siamo a Varano Borghi 2006. Solo una manciata di canzoni, certo, ma l'una diversa dall'altra, per un'affinata sensibilità blues che permea profondamente il lavoro magistrale di Rossi, inducendo ciò che forse era sola prerogativa di qualità e per giunta, di certo blues d'oltreoceano: la catarsi del blues. Un processo di purificazione, di distacco dal male di vivere, indotto dall'andamento ipnotico della voce di maestri come Charlie Patton, Son House o Blind Willie Johnson, a fatica riscontrabile nell'italianità del fare blues e qui presente, anche se a tratti, come non succede quasi mai. E' il caso di I Got to Pay My Bill sospesa tra inferno e paradiso, dell'andamento progressivo di Me and my Mule veicolata da strumenti come il basso tuba di Vittorio Bettoni (al basso nelle altre), o della strumentale Brother Wim Blues, inevitabilmente "scura come la notte e fredda come la pianura". L'andamento più vivace di brani come Slowly Stuff Blues o dell'acustica Flat Green Land estendono il songwriting del nostro a orizzonti più roots e un traditional non poteva mancare, nel caso Cherry Ball Blues. L'invettiva contro la guerra di No More War è il brano conclusivo di I Don't Want…, che unisce un'altra volta John Lee Hooker e J.B.Lenoir insieme a tutto il blues che c'è qua dentro, personalizzato da Angelo Leadbelly Rossi in un azzeccato, piccolo e grande capolavoro. Da ricordare, come memorabile è anche il ringraziamento dell'artista verso quella piccola comunità che tiene pur sempre vivo il grande messaggio umano del blues in Italia e dintorni.
(Matteo Fratti)

Per info e contatti su come reperire il disco:
leadbelly.rossi@tin.it
ilbluesmagazine@interfree.it


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