Veronica
Sbergia and the Red Wine Serenaders Veronica
Sbergia and the Red Wine Serenaders
[Totally unnecessary Records 2010]
Ci sono dischi in grado di trascendere luoghi fisici e spazi temporali. E
questo è proprio quanto accade dopo aver inserito il dischetto in questione nel
lettore e aver premuto il tasto play. Si viene catapultati nell'America dei primi
decenni del secolo scorso, dove spopolavano il ragtime, lo swing e facevano la
loro comparsa le prime jug band. Un suono figlio di quella tradizione musicale,
ormai dai più seppellita nei meandri più reconditi della memoria, ma ancora viva
e pulsante. Visto il sound è logico pensare immediatamente a un gruppo di musicisti
americani, anzi afroamericani, volti a reinterpretare la tradizione medesima.
Niente di più sbagliato, perchè i musicisti in questione sono italianissimi. Arriva
infatti dalla Lombardia Veronica Sbergia, e per questa sua seconda opera
discografica si fa accompagnare dai fidi Red Wine Serenaders, anch'essi italiani
oltre che musicisti di grande caratura. I nostri si divertono a giocare con la
tradizione musicale afroamericana , mostrando allo stesso tempo grande rispetto
e passione per la materia in questione. Strumenti inusuali come ukulele, washboard
e kazoo colorano ulteriormente la miscela sonora del gruppo, che trova nella dimensione
acustica la propria ragione d'essere.
Su tutto si staglia la splendida
ed espressiva voce di Veronica Sbergia, vero punto di forza dell'intero lavoro.
Virtuosa dell'ukulele, Veronica percuote con maestria anche la washboard, e grazie
all'utilizzo di una spazzola per capelli riesce ad estrarne sonorità innovative.
Nelle file dei Red Wine Serenaders spiccano senza dubbio Max De Bernardi
e Mauro Ferrarese, autentici maestri degli strumenti a corde; il primo
alla chitarra resofonica, all'ukulele e al mandolino; mentre il secondo anch'egli
impegnato alla chitarra resofonica. Ideale suggello è Alessandra Ceccala, al contrabbasso
e ai cori, in grado di dare ulteriore spinta ritmica al gruppo. Un viaggio musicale
tra rarefatti e arcaici blues (Busy Bootin,Doggone My Soul,Lovesick
Blues) e coinvolgenti swing e ragtimes (You
Drink too Much, Mr Ambulance Man).
You may leave (but this will bring you back)
è invece una trascinante folk song condotta da washboard e kazoo, il tutto coadiuvato
da un sapiente uso delle voci. Difficile poi rimanere impassibili di fronte alla
bellezza di brani come Lullaby of the Leaves,
splendida ballata con l'ukulele protagonista; Nobody
Knows but Me, old time blues come non se ne sentivano da tempo e You
Must come in at the Door a mio avviso la migliore del lotto, splendido
brano corale di stampo gospel, con un ottimo lavoro di chitarra slide ben supportata
dalla washboard. Vera chicca è infine la bonus track: Good
Old Wagon, per solo piano e voce, semplicemente da brividi.
Un
disco vissuto, che parla di storie intrise di amore, sangue e sudore e lo fa con
perizia tecnica e un alto tasso emotivo. Un plauso va quindi a Veronica Sbergia
e ai suoi fidi Red Wine Serenaders, fautori di un'opera dalla bellezza cristallina.
(Marco Poggio)