Spookyman, al secolo Giulio Allegretti,
chitarrista e cantante, bluesman di lungo corso nel panorama nazionale
e oltre, smette per un attimo i panni dell’one man band, grazie ai quali
si è costruito una notevole credibilità, giungendo a condividere il
palco con ottimi nomi della scena internazionale, da Eric Gales a Jon
Spencer. Simile reputazione non solo per i panni però, c’è anche la
ricerca di un sound personale, ancorché proteso verso le origini e filtrato
attraverso la sua capacità di strumentista, nonché il grande pregio
di scriversi il proprio materiale, con buoni risultati. E non è affatto
scontato, soprattutto per un genere come il blues, in cui tale capacità
compositiva fruttifica non tanto dietro le stesure armoniche, quanto
tra le pieghe delle innumerevoli sfumature, nei dettagli, nell’architettura
emozionale dei brani.
L’artista aveva già dato buona prova di sé nell’omonimo disco d’esordio
del 2016, un lavoro che privilegiava certe atmosfere acustiche, a tratti
down-home, con un bel gioco di arrangiamenti e una scrittura notevole,
tutte qualità che il bluesman romano porta in dote per questo Blood
Sweat And Tears. Indi restano intatte le capacità e cambia la
veste, ma il peso specifico è lo stesso. Entrano in scena gli All
Nighters, ottimi musicisti, Marco Di Folco alla chitarra, Simone
Scifoni a keyboard bass, batteria, tastiere, il sorprendente Andrea
Di Giuseppe all’armonica; si parte per un viaggio dai toni chiaro-scuri,
come si fosse avvolti da una bruma lungo la riva di un fiume. E via
la bellissima Back To me, il lento
in minore As The Sun Will Rise, piccole gemme come Woman
Complants, guidata dall’armonica e caratterizzata da una
vena r&b (interessante la variazione armonica nell’intermezzo; quando
si dice la scrittura). Se l’iniziale title-track (splendido harp solo
in “terza posizione”), notturna e vagamente sorniona, gode di qualche
traccia “early 60’s” (stessa sensazione per l’eccellente Fireman
Blues), No Peace è un esplicito omaggio al Chester Burnett
(Howlin' Wolf) di Smokestack Lightning.
Dieci tracce in tutto, quasi sempre con il crepuscolo incombente, vedi
l’ottima I Don’t Mind, dalla notevole
presenza ritmica, lo shuffle Who Cares, con i suoi interessanti
accenti e tutto il resto, fino alla piacevole, conclusiva So Long.
Manca qualcosa? Forse sfoceremo nell’ovvio, ma un bello stomp strumentale,
magari guidato dalle sonorità dell’armonica, avrebbe fatto bella mostra
di sé; la band ha tutti i numeri a posto. Notevole.