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Americana folksinger di
Davide Albini (20/11/2014)
Un
disco ogni dieci anni è già un modo per dichiarare la propria estraneità al mondo
del business musicale di oggi, altrimenti credo che avremmo avuto altre notizie
da Kenny Butterill dopo il suo Just a Songwriter. Qualcuno malignamente
penserà che se ci ha messo così tanto, forse c'erano anche delle ragioni artistiche:
non voglio convincervi che questo canadese, ritiratosi nei boschi a nord della
California per una ventina d'anni, sia una una sorta di misconosciuto talento
della canzone d'autore, perché così non è infatti, ma resta il fatto che coinvolgere
in un disco musicisti come Cindy Cashdollar (già con Bob Dylan), Ray Bonneville,
Redd Volkaert (lo ricordo chitarrista alla corte di Merle Haggard), Zoe Muth o
Rob Ikes non è un privilegio per tutti. Dalla lista ho volutamente tenuto in disparte
il più famoso, che contribuisce anche con il cameo più importante dell'intero
Troubadour Tales: si tratta di Donovan, che soffia nell'armonica
per il brano ecologista Gaia Blues.
Frutto
di registrazioni tenutesi in diversi studi sparsi tra la California, il Texas,
Nashville e il natio Canada, l'album non soffre affatto di questo puzzle di contributi,
ma anzi può vantare come pregio migliore l'uniformità del suono, un country blues
lievemente elettrificato e dai domestici sapori roots che è l'essenza di una certa
tradizione americana. Butterrill soffre soltanto di una voce un po' troppo bassa
e sottile: messo in questi termini non appare come un grande complimento, ma la
caratteristica ricorrente di brani quali l'ironico commento politico di
Good Thing that Couldn't Happen Here o di Old Man and the Kid
è proprio questo inconfondibile "laid back" sudista, che ha in JJ Cale un suo
chiaro puto di riferimento. È talmente vero che Butterrill, giocando a carte scoperte,
gli rende omaggio in Hocus Pocus, brano che
potrebbe appartenere allo stesso Cale, registrato tre settimane prima della scomparsa
di quest'ultimo, ci informano le note del disco. Spaziando così da temi sociali
a spunti di carattere spirituale (Flying with Buddha) e letterario (la
cadenzata Cyrano's Song), Troubadour tales
è uno di quei lavori poco appariscenti e per qualcuno fin troppo "conservatori",
che tuttavia sopperiscono con una maestria da artigiani e una passone infinita.
E in ogni caso, se amate frequentare (come diamo per scontato su queste
pagine) i sentieri della tradizione, qui dentro troverete racchiusa musica di
grande qualità strumentale e semplicità d'animo: i venti del border fra l'accordion
e la spanish guitar di Pajaro Dunes, luogo
in realtà situato sulla costa del Pacifico, il più classico passo country rurale
di Dead End of the Dirt Road, quello virato al blues (ancora JJ Cale in
agguato nelle chitarre suonate dal citato Bonneville) della fascinosa True
North, poi acustico in Woman in a Canoe, fino al ricordo di
un altro piccolo eroe dimenticato, il connazionale Willie P. Bennett, che Butterill
rievoca in Willie We Miss Ya e che già a suo
tempo venne omaggiato daalla band dei Blackie and the Rodeo Kings. Un disco che
non suona sovversivo neppure nel genere Americana, ma attraversato da grande mestiere.