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gipsy blues di
Marco Poggio (08/10/2014)
Cresciuto
musicalmente nei locali notturni canadesi, per poi trasferirsi in cerca di fortuna
in quel di New York, il chitarrista Alexander Wesley Cardinal sembra aver trovato,
alfine, quest'ultima facendo ritorno nella propria terra natia. Rientrato entro
i confini canadesi il nostro, infatti, non solo ha posto le basi del progetto
a nome Blue Moon Marquee, incidendo un primo album, Stainless Steel Heart,
de facto valvola di sfogo delle proprie ambizioni solistiche, ma ha anche incontrato
quella che sarebbe diventata la sua personale "Jass Band", come egli stesso ama
definirla, ovvero Jasmine Colette, ballerina e cantante, oggi "convertita" al
contrabbasso, al quale aggiunge un minimale set batteristico (grancassa, rullante
e charleston) percosso con i piedi. Un "duo che suona come una band", come loro
stessi si descrivono, nonché dedito ad una "zingaresca" esplorazione dei più diversi
suoni appartenenti alla tradizione musicale dei vicini Stati Uniti, battezzata
con il caratteristico nome di "gipsy blues".
Composizioni quelle approntate
dai due per questo loro primo parto discografico condiviso, nei cui pentagrammi
convivono, così, saltellanti ragtimes, melmose vischiosità blues, di deltaica
provenienza, seppiate melodie jazz, ariosità western swing e un rauco "vociare"
richiamante tanto il primo Tom Waits quanto il sempiterno Dave Van Ronk. Coadiuvati
da un ristretto numero di, peraltro pregevoli, musicisti, i due passano pertanto,
con nonchalance, dal baldanzoso ragtime pianistico dell'opener What
I Wouldn't Do, alle felpate movenze jazz di una Trouble's
Calling in cui si avverte l'influenza, specie sull'abilità di fraseggio,
alla sei corde, di Cardinal, di un "maestro", peraltro dichiarato, quale Lonnie
Johnson; fino alle riflessioni alcoliche di una Scotch
Whiskey dove, vuoi per le liquide incursioni dell'hammond di Simon
Kendall, sono, altresì, evidenti i rimandi allo Stax Sound forgiato da Booker
T e dai suoi M.G.'s.
Sembra, al contrario, impregnata del medesimo fumo
e alcool del waitsiano Nighthawks At The Diner, la strascicata Sugar
Dime, con l'abrasivo talking della voce di Cardinal a ricordare proprio
quello del, allora giovane, songwriter di Pomona. E se la rivisitazione di Piperliner
Blues, presa "in prestito" dal songbook del pianista Moon Mullican, si attesta
sulle medesime coordinate western swing dell'originale, figlia della tanto decantata
estetica "gipsy blues" è invece l'esplicativa, fin dal titolo,
Gipsy's Life, roca declamazione jazzy, strizzante l'occhio al succitato
Dave Van Ronk, alla quale il violino di Cameron Wilson aggiunge un, reinhardtiano,
tocco gitano. Un album, Lonesome Ghosts, che ha il notevole pregio
di suonare antico ma non stantio, evitando al contempo di cadere nella calligrafica
scopiazzatura di spartiti altrui. Immaginate di entrare in un fatiscente night
club dove, in mezzo a sciantose ballerine in abiti succinti ed avventori intenti
ad affogare i propri dispiaceri nella bottiglia, sono sicuro trovereste, su di
un piccolo palco, proprio i Blue Moon Marquee e i loro "fantasmi solitari".