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folksinger di
Marco Poggio (20/01/2014)
Con una carriera in ambito musicale lunga più di 50 anni, tutto si può dire di
Jack Williams meno che sia un "giovanotto di primo pelo". Pregevole pizzicatore
di corde, tanto elettrificate quanto acustiche, paroliere e songwriter di vaglia,
nonché fido accompagnatore, on stage, di artisti quali Tom Paxton, Harry Nilsson
e Peter Yarrow, il songwriter originario del South Carolina ha saputo costruire,
nel tempo, un percorso di integerrima integrità artistica, ove folk, jazz, rock'n'roll
e blues si sono, spesso, avvicendati quanto fusi tra loro. E se i trascorsi a
fianco dei succitati "colleghi" paiono legittimare la bontà delle proprie abilità
strumentali, le sue avventure in proprio hanno visto alternare a progetti collettivi,
una parallela, intimistica, dimensione da folksinger. Ed è appunto quest'ultima
ad emergere in Four Good Days, rivisitazione, in chiave acustica,
di brani contenuti nei suoi ultimi lavori in studio, con l'aggiunta di alcune
composizioni prelevate dalle nebbie del proprio passato, ed altre mai impresse
prima d'ora su nastro.
Un lavoro d'introspettiva rilassatezza, dove ad
essere protagonista è la sei corde acustica dello stesso Williams, nel suo centellinare
note intorno ad una voce, arricchita di nuovi, espressivi, colori dal trascorrere
del tempo. Ne sono un esempio il carezzevole picking della title track, riflessivo
rimembrare sulla propria vita alla soglia dei 70 anni, la delicata ballata westcoastiana
Highway From Back Home, narrante le gioie
e i dolori di un'esistenza passata sulla strada, nonché le digressioni grassy
di una "bromberghiana" Them Things,
tinta di nere tonalità gospel da ben calibrati apporti vocali. Coralità che ritroviamo
anche in una Sugar Enough, registrata su insistenza
della propria moglie, dove, per l'appunto, gli incroci vocali, e il muoversi flessuoso
delle dita sulle corde, paiono rimandare alle esplorazioni acustiche cooderiane.
D'indubbio splendore sono tanto una Suddenly
The Tide abbellita da nuove sublimi armonizzazioni vocali, quanto una
You Be The Light trasudante caraibica solarità. Emergono invece dai propri
trascorsi in un combo d'elettricità rock, Sleeping In
The Streets, qui riproposta in nuova veste che, complice anche il mantico
dischiudersi della fisarmonica di Radoslav Lorkovic, rievoca la New Orleans degli
ultimi Subdudes; così come A Full Moon On,
sincopato esercizio bluesy con tanto d'accompagnamento dei tasti bianchi e neri
d'un piano. Unico brano non autografo è una struggente, nel suo evocativo arrangiamento
per sole corde e tasti, rilettura di The Night They Drove
Old Dixie Down, in ricordo dello scomparso Levon Helm, al quale è peraltro
dedicato l'intero album. Nel suo guardare, attualizzandolo, al proprio passato,
prossimo e remoto, Four Good Days, rappresenta un'ideale summa dell'opera del
songwriter nativo di Lancaster, quanto un valido, primo, approccio alla medesima.