Jack Williams
Four Good Days
[
Wind River Records
2013]

www.jackwilliamsmusic.com


File Under: folksinger

di Marco Poggio (20/01/2014)

Con una carriera in ambito musicale lunga più di 50 anni, tutto si può dire di Jack Williams meno che sia un "giovanotto di primo pelo". Pregevole pizzicatore di corde, tanto elettrificate quanto acustiche, paroliere e songwriter di vaglia, nonché fido accompagnatore, on stage, di artisti quali Tom Paxton, Harry Nilsson e Peter Yarrow, il songwriter originario del South Carolina ha saputo costruire, nel tempo, un percorso di integerrima integrità artistica, ove folk, jazz, rock'n'roll e blues si sono, spesso, avvicendati quanto fusi tra loro. E se i trascorsi a fianco dei succitati "colleghi" paiono legittimare la bontà delle proprie abilità strumentali, le sue avventure in proprio hanno visto alternare a progetti collettivi, una parallela, intimistica, dimensione da folksinger. Ed è appunto quest'ultima ad emergere in Four Good Days, rivisitazione, in chiave acustica, di brani contenuti nei suoi ultimi lavori in studio, con l'aggiunta di alcune composizioni prelevate dalle nebbie del proprio passato, ed altre mai impresse prima d'ora su nastro.

Un lavoro d'introspettiva rilassatezza, dove ad essere protagonista è la sei corde acustica dello stesso Williams, nel suo centellinare note intorno ad una voce, arricchita di nuovi, espressivi, colori dal trascorrere del tempo. Ne sono un esempio il carezzevole picking della title track, riflessivo rimembrare sulla propria vita alla soglia dei 70 anni, la delicata ballata westcoastiana Highway From Back Home, narrante le gioie e i dolori di un'esistenza passata sulla strada, nonché le digressioni grassy di una "bromberghiana" Them Things, tinta di nere tonalità gospel da ben calibrati apporti vocali. Coralità che ritroviamo anche in una Sugar Enough, registrata su insistenza della propria moglie, dove, per l'appunto, gli incroci vocali, e il muoversi flessuoso delle dita sulle corde, paiono rimandare alle esplorazioni acustiche cooderiane.

D'indubbio splendore sono tanto una Suddenly The Tide abbellita da nuove sublimi armonizzazioni vocali, quanto una You Be The Light trasudante caraibica solarità. Emergono invece dai propri trascorsi in un combo d'elettricità rock, Sleeping In The Streets, qui riproposta in nuova veste che, complice anche il mantico dischiudersi della fisarmonica di Radoslav Lorkovic, rievoca la New Orleans degli ultimi Subdudes; così come A Full Moon On, sincopato esercizio bluesy con tanto d'accompagnamento dei tasti bianchi e neri d'un piano. Unico brano non autografo è una struggente, nel suo evocativo arrangiamento per sole corde e tasti, rilettura di The Night They Drove Old Dixie Down, in ricordo dello scomparso Levon Helm, al quale è peraltro dedicato l'intero album. Nel suo guardare, attualizzandolo, al proprio passato, prossimo e remoto, Four Good Days, rappresenta un'ideale summa dell'opera del songwriter nativo di Lancaster, quanto un valido, primo, approccio alla medesima.



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