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americana songwriter di
Davide Albini (16/07/2016)
Lo
stile pacato ricorda il più classico storyetlling americano, di chi racconta una
buona storia partendo dalle emozioni personali. Se apprezzate Greg Trooper, Chip
Taylor, le chitarre acustiche e il folk d'autore che incontra il country, allora
Once Upon a Different Time fa al caso vostro. Con Jaime Michaels
non vi sto presentando un fuoriclasse, ma un buon artigiano diviso fra parole
e musica, che scrive canzoni che filano via lisce e gradevolmente sintonizzate
sulle frequenze della tradizione: piccoli dettagli della vita, come ci ricordano
la title track o No Paddle Wheel; ricordi, come avviene in Warming,
canzone dallo spirito ecologista che evoca i trascorsi hippie giovanili di Jaime;
qualche fugace pensiero d'amore. Originario di Boston, poi vissuto fra North Carolina
e infine New Mexico, Michaels è in cammino dai Settanta, ma si può dire che abbia
preso seriemente in considerazione la sua carriera di autore soltanto negli ultimi
vent'anni, periodo nel quale si è tolto qualche soddisfazione personale, incidendo
una decina di lavori e ottenendo riscontri a livello locale (una nomination ai
New Mexico Music Awards).
Non è la prima volta che incrociamo la sua vicenda
artistica: se ricordo bene, il suo sodalizio con Jono Manson, musicista
e produttore spesso legato all'Italia, dura da parecchio tempo, avendo quest'ultimo
prodotto numerosi album di Michaels in passato, sempre negli studi di Santa Fé.
Un'intesa che evidentemente funziona a meraviglia, se i due hanno ritrovato il
terreno comune per compiere un altro tratto di strada insieme, questa volta registrando
ai quattro angoli del mondo, anche con musicisti italiani, come il nostro valido
cantautore Stefano Barotti, presente alla seconda voce in Somewhere
in Italy. Ai collaboratori storici di Michaels - il chitarrista Ben
Wright, il bassista Josh Martin e il batterista Mark Clark - si uniscono infatti
presenze raccolte fra gli studi di New York, Denver, Cambridge in Inghilterra
e persino nella lontana Nuova Zelanda, con il piano e violino di Jason Crosby,
l'accordion di Char Rothschild e il sax di Craig Dryer tra gli altri.
L'italiana
Appaloosa si occupa infine di pubblicare l'album per il nostro mercato, con la
solita edizione curata nella traduzione dei testi: da qui possiamo cogliere lo
stile semplice di Jaime Michaels, il sound pulito in prevalenza acustico e folkie
che esalta le parole e la voce confidenziale del protagonista in Crazy for
Me, nel picking delicato di A Little More,
ospite la chitarra di Paolo Bonfanti, nel cambio di ritmo, tra country rurale
e modulazioni blues sudiste, di Circling Around e Steal
Light, con banjo e piano a condurci verso uno stile più roots e spigliato.
Questi ultimi episodi, insieme alla danza dai sapori irish di Singing for My
Supper, sono anche i più vivaci di un disco che altrimenti privilegia il gesto
gentile, un forma di ballata sempre molto contenuta, e che mi pare raggiunga i
risultati più apprezzabili nella dolce The Heat e in Winter
Song, avvolta nella calda coperta dell'organo hammond di Jason Crosby.