Jeremy Nail
My Mountain
[
One Nine Music
2016]

www.jeremynail.com

File Under: Lanoisiano

di Gianfranco Callieri (17/05/2016)

La biografia di Jeremy Nail, dal suo sito, è fin troppo prolissa nel descriverne tappe artistiche e, soprattutto, malanni. Caviamocela così, allora, e diciamo soltanto che My Mountain, nonostante qualche esperienza pregressa, è un album d'esordio, supervisionato da un produttore d'eccezione come Alejandro Escovedo ma in buona sostanza intriso di tutte le virtù, i difetti, i limiti e i pregi (ognuno di essi rimescolato assieme) tipici dei debutti. Dell'opera prima, My Mountain possiede le piccole imperfezioni, talvolta perfino simpatiche da constatare: è il caso, per esempio, di una Dreams talmente simile agli up-tempo di Buddy Holly (punto di riferimento d'altronde inevitabile per ogni texano come Nail impegnato a trafficare col rock and roll) da rasentare non la dichiarazione d'affetto ma il plagio puro e semplice, oppure di una Heroes dove lo shuffle del Texas basato su giri blues (roba su cui Jimmie Vaughan potrebbe detenere un diritto d'autore) viene riproposto con scrupolo e dedizione quasi scolastici.

Eppure, sempre delle opere prime My Mountain possiede anche gli slanci e le deliziose ambizioni, la voglia di proporre una canzone d'autore emancipata dal connubio di voce e chitarra - due elementi nei quali Nail risulta tutt'altro che portentoso - attraverso una serie di espedienti atmosferici all'insegna dell'eleganza negli arrangiamenti, la freschezza nell'intrecciare fattori distanti e in apparenza antitetici. Guidato da un Escovedo qui più attinente al musicista degli inizi (e cioè a quella zona classicheggiante sospesa tra alcuni episodi di Gravity [1992] e l'intero Thirteen Years [1994]) di quanto non lo sia stato nella tempesta elettrica e stradaiola degli ultimi lavori, Nail sovrappone voci femminili e chitarre slide (nella title-track), e ricama drappeggi acustici con effetti ambientali (nella fragile Survive) come avrebbe fatto il Daniel Lanois al servizio di Bob Dylan, Emmylou Harris o Neil Young: infatti il blues umido e visionario di Only Love potrebbe appartenere alle outtakes del primo, il dolente country al rallentatore di Brave a quelle della seconda e il cupo melodramma elettroacustico di New Frontier alle pagine meno nevrotiche del terzo.

Nel finale di My Mountain, tuttavia, Jeremy Nail sceglie la strada della semplicità, prima con la crema dolce e malinconica di una Calling All Cars dalle sfumature quasi pop (e dalle continue stratificazioni di sei corde resofoniche), poi con il suggestivo congedo di una Tell Me What Else You Got - il capolavoro del disco - dove l'introspezione di una ballata alla Ryan Adams viene fatta confluire nell'assolo elegiaco e distorto dello strumento di Chris Masterson. Lo fa per dare la misura della gamma di emozioni e soluzioni dietro un album nato quale forma di terapia personale (la "my mountain" del titolo è un cancro alla gamba sinistra che ha costretto il nostro all'amputazione e alla sostituzione con un arto meccanico) eppure assolutamente non anestetizzato, anzi, al contrario circolare, ineludibile e remoto come solo certi vecchi leoni sanno essere. My Mountain, dicevamo all'inizio, può essere apprezzato anche senza sapere nulla dei problemi di salute del suo creatore, e questo, se non c'entra nulla con il giudizio finale sull'album, c'entra però moltissimo con la capacità di Jeremy Nail nello scrivere canzoni.


    


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