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Self Southern Rock di
Nicola Gervasini (15/01/2016)
Per
qualche strano caso del destino non ci siamo mai occupati di Ron Pope su
queste pagine. Originario della Georgia, Pope ha all'attivo cinque album solisti
e una lunga serie di singoli distribuiti via web, tutti autoprodotti e ben venduti
online. Fatto che lo ha reso un paladino dall'auto-distribuzione in patria, dopo
che nel 2009 aveva provato senza troppo successo ad accasarsi presso la Universal.
Sarà per questo che per il suo sesto album, che lui considera come un vero e proprio
esordio di una nuova formazione chiamata Ron Pope & The Nighthawks (per quanto
il nome della band sia già stato più che abusato nella storia del rock e del blues),
Pope ha voluto girare anche un documentario ("One Way Ticket") che testimonia
le sessions avvenute in Georgia, Louisiana e New York, ma che rappresenta anche
un vero e proprio invito ad affidarsi al mondo web e streaming vari per far sopravvivere
la musica d'autore dei bassifondi ("How to forge a career in the new digital age"
promette il video).
Lui tra l'altro sciorina con orgoglio dati come i
126 milioni di streaming ottenuti in Spotify, più di 100 milioni di visualizzazioni
in YouTube o 14 milioni di ascolti in Soundcloud e via dicendo, aprendo così le
porte all'era dell'autoerotismo da dati web del povero outsider solitario. E qui
si apre poi anche la discussione se davvero abbiamo voglia di ascoltarci un disco
di puro southern-roots-rock come questo, solo su un cellulare o sul pc di casa,
o se, come caldeggerei, potremmo invece arrenderci all'idea che realtà come quella
di Ron Pope abbiano senso solo come set live. Perché nonostante il grande impegno,
l'album in sé viaggia nella medietà di genere, e sebbene sia prodotto da un tecnico
esperto come Ted Young (tra i tanti assistiti, Hold Steady, Israel Nash
Gripka, Kurt Vile, ma anche re-mixatore della reissue di Get Your Ya-Ya's Out
dei Rolling Stones), pecca proprio nella mancanza di un suono potente e incisivo
che magari avrebbe aiutato ballatone come l'iniziale Southern
Cross o White River Junction ad avere maggior impatto.
Di
certo è evidente la natura live di molte canzoni, anche perché spesso Pope cerca
il coro o il refrain facile che possa coinvolgere un pubblico ad ogni occasione
(Take Me Home) o prova a buttarla sul southern rock più puro (Ain't
No Angel, pura muddy-song alla Lynyrd Skynyrd) o su un certo Jersey-sound
tutto fiati alla Southside Johnny (Hell or High Water), ma di certo non
si distingue per una scrittura particolarmente degna di nota, neppure quando pare
impegnarsi di più come nelle acustiche Hotel Room e Goodbye, o nella
pianistica Leave You Behind. Album solo per
ossessivi e compulsivi dei suoni del sud dunque, per i quali comunque Ron
Pope & The Nighthawks rappresenterà un piacevole appuntamento di old-fashioned
rock.