Titus Wolfe
Ho-Ho-Kus N.J.
[
Blue Rose
2015]

www.tituswolfe.com

File Under: rockers & losers

di Fabio Cerbone (29/01/2016)

Il confine tra un semplice rock'n'roll fan e un autore con qualche ambizione superiore alla media sta diventando sempre più confuso: colpa o merito, decidete voi, della presunta democrazia della rete. Titus Wolfe, tedesco di Francoforte appena messo sotto contratto dalla conterranea Blue Rose, rientra alla perfezione in questo discorso. Presentato orgogliosamente come "remembrance of Willy DeVille", il suo album è attraversato dall'ombra del grande musicista americano, scomparso lasciando un vuoto incolmabile in tutti quelli che hanno sempre creduto nel lato romantico del rock. È infatti grazie a un provino acustico spedito in New Jersey presso David J. Keyes, storico bassista di DeVille, che Wolfe è entrato in contatto con molti ex collaboratori del gitano del rock, dal pianista Kenny Margolis al bassista Boris Kinberg, divenuti improvvisamente la backing band di studio per la realizzazione di Ho-Ho-Kus N.J., titolo preso in prestito dalla località del Jersey dove sono state incise le undici tracce.

Un autentico sogno a occhi aperti per Titus Wolfe, autore di una certa esperienza, ma pur sempre marginale, vissuto tra Francoforte e Berlino, registrando musica per cinema e televisione. Fin qui la favola a lieto fine, poi arriva il contenuto vero e proprio e la sceneggiatura cambia verso, arenandosi in un film di serie B, neppure di quelli più divertenti. Innanzi tutto la pratica DeVille, non solo richiamata dalla presenza dei musicisti, ma omaggiata con due cover, purtroppo parecchio zoppicanti. Heaven Stood Still, uno dei brani più drammatici dell'intero repertorio di Willy, viene qui riletta in chiave folkie: è un autentico disastro, complice anche la scarsa estensione e tutti gli evidenti limiti (molto grossi) della voce di Wolfe, una di quelle ruvide che fanno tanto "beautiful losers", ma inadatta a domare un brano simile. Meglio senza dubbio il ripescaggio di Angels Don't Lie, episodio minore dall'album Loup Garou, che tuttavia non raggiunge l'intensità dell'originale. La terza cover esula dal ricordo di DeVille e ripropone l'arcinota Willin' dei Little Feat, in coppia con Joe Lynn Turner (ex frontman dei Rainbow) in una veste tanto rispettosa, quanto poco giustificata: che cosa aggiunge di personale?

Il resto del materiale, scritto da Titus Wolfe in collaborazone con Rob Hoare, prova a cercare una sua espressività, tra folk rock di natura scarna e polverosa, mantenendo un suono live e d'ambiente, nelle varie Your Name in The Clouds, Where Roses Grow e The Trouble You Must Have Seen, passando al romanticismo urbano nell'elettrica Guru for a Dime e a ballate innaffiate di melodia soul (A Trip Nowhere, Calling Your Name) che sicuramente non nascondono l'affetto per lo stesso DeVille (e qui gioca un ruolo centrale la presenza di organo e accordion nelle mani di Margolis), ma ne ricalcano soltanto i contorni. Si ritorna dunque al punto di partenza: devozione, anche rispetto da parte di chi, da gregario del rock'n'roll, prova giustamente a coltivare la sua passione. Di progetti simili ne incontriamo sempre più spesso e altrettanto li archiviamo in fretta: Titus Wolfe ha avuto la sua occasione, ma i dischi che lasciano il segno sono ben altri.


    


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