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americana songstress di
Marco Restelli
(07/07/2017)
Non
deve essere facile emergere a Nashville, a 27 anni, cantando dei pezzi propri
in stile Americana. Eppure ritengo che l'orientare il proprio sound verso la tradizione,
evitando di essere risucchiati dal mainstream country, tanto in voga da quelle
parti, rappresenti già un buon passo avanti nella giusta direzione. È quello che
ha continuato a fare Rachel Baiman (sulla scia del precedente Speakeasy
Man, del 2014) con questo suo secondo disco, intitolato un po' provocatoriamente
Shame, che contiene una manciata di brani veramente interessanti
e piacevoli da ascoltare. L'approccio di alcuni testi è orgogliosamente provocatorio,
con la chiara intenzione di dire la propria nei confronti della religione e dell'attuale
pensiero (politicamente) dominante in America, rivendicando l'assoluta indipendenza
da entrambi.
Al riguardo, le canzoni con le quali ha deciso di aprire
e chiudere l'album sono forse le più emblematiche. La prima, che dà il titolo
all'album, vede l'artista che guarda dall'esterno una chiesa vicino casa, al cui
interno le persone dovrebbero cercare la salvezza, mentre a suo avviso si limitano
solo a giudicare moralmente gli altri ("Any man can own the right to do just as
he please"). Il messaggio da parte sua è chiaro: non ha nessuna intenzione di
vergognarsi per le proprie scelte di vita. La splendida Let
Them Go to Heaven, invece, non guasterebbe in nessuno degli album di
Norah Jones ed è basata su una poesia di Ishmael Reed. L'idea di base è vedere
nella musica una sorta di paradiso alternativo, come metafora di affrancamento
da qualsiasi proposta di salvezza per i propri peccati ("If on earth I cannot
last I wanna go to jazz"……e ancora "When my body leaves my soul take me to rock
n'roll"). A prescindere da quale sia la propria posizione sul tema, devo dire
che è sicuramente un episodio fortunato sotto tutti i punti di vista e, nel suo
piccolo, geniale.
Nel mezzo di questo riuscito testa/coda ci sono altre
composizioni interessanti nelle quali Rachel ci parla di sé e dei suoi sentimenti.
Una di queste è Thinkin on You, ballata d'altri
tempi con tanti di mandolino a ricamarne le strofe, che parla di un rapporto che
sembra viva più di attimi che di certezze. Il mood allegro nella più ritmata Getting
Ready to Start (scritta a sei mani con T. Ashton e M. De Viltry) forma una
bell'accoppiata con la più calma e delicata Wicked Spell. Quest'ultima, verosimilmente
la mia preferita, ci racconta della rottura di una relazione, con tanto di mega
ubriacatura finale, della quale purtroppo non le resterà che il profumo lasciato
sul maglione che le aveva prestato.
Tirando le somme Shame
è un disco che ci regala l'ennesima voce femminile, intrigante e originale, da
continuare a seguire con interesse. Tanto carattere e altrettanto talento che
non dovrebbero passare inosservate oltre oceano, ma che qui in Europa, purtroppo,
potrebbero faticare a trovare lo spazio che meriterebbero. In fondo, il nostro
mal celato obiettivo è proprio quello di cercare di evitare che il destino finale
di questi artisti sia, fatalmente, proprio questo.