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folk, americana di
Marco Restelli (19/05/2018)
Dopo
un buon disco d'esordio nel 2015 (Something Real) e un EP dell'anno successivo,
Jenny Van West ha appena pubblicato il suo nuovo interessante lavoro, dall'emblematico
titolo Happiness To Burn. Quest'artista originaria di Portland (Maine),
sotto la direzione di Shane Alexander e una manciata di ottimi musicisti provenienti
da Los Angeles, si è messa di nuovo in gioco evidenziando un songwriting spontaneo
e di qualità. Le melodie, gli arrangiamenti in stile folk/americana - per fortuna
sempre essenziali - e la splendida voce sembrano funzionare a meraviglia, senza
cali vistosi in alcuno dei dieci episodi.
La title track, mid-tempo in
apertura, smuove subito ritmo e mood con un piglio quasi da saloon. Apparentemente
solo una canzoncina dall'andamento swing per scaldare l'ambiente, ma quanto di
buono accennato nell'introduzione inizia già a svelarsi. Ancora meglio la successiva
e più radiofonica Live In A New Way (brano
ispirato alle proteste per l'omicidio di Freddy Gray), che ben potrebbe essere
presa come manifesto per una generale guarigione dall'odio e dalla superbia dominante
nel cuore di molti (If we can just let go of the hate / Might not feel the need
to dominate / If we could just admit we'd been wrong / We might have a chance
of getting along), rendendo tutti infelici. Due morbide ballate, Never Alone
e Where I Stand, mostrano il lato più dolce della Van West dando nel
contempo alla band l'occasione di creare una cornice ad hoc. In particolare nel
primo pezzo da evidenziare la suadente pedal steel guitar di Jesse Siebenberg,
senza la quale l'atmosfera non sarebbe certamente la stessa. Quanto al testo è
una sorta di esorcizzazione della solitudine, con la speranza proiettata verso
l'incontro con la persona amata che tarda ad arrivare. Nella seconda invece un
sentimento di oscurità relativo ad una relazione d'amore pervade tutto il brano
e sembrerebbe un po' più pessimista della precedente. A livello musicale: dobro
e lap steel al comando.
Ogni tanto il disco riceve qualche piacevole scossa,
come nel caso dell'arrembante 45 e nella ritmata
Twenty Seven Dollars, tutta ambientata in
Kansas City, con la voce cristallina di Jenny a dare il meglio di sé. Dulcis in
fundo a mio avviso il trittico low-tempo finale riserva verosimilmente il meglio
dell'album. L'emozionante Something Almost Happened
- che per stile e approccio, sembra uscita dalla penna di Lucy Kaplansky - è piena
di ricordi e rimpianti del passato ed è quasi impossibile resisterle. Le malinconiche
Can't Have You Now e Embers, che ricordano invece più la Bonnie
Raitt balladeer di Nick Of Time, chiudono un disco molto intimo al quale auguro
veramente la fortuna che merita. Sono convinto che se Jenny Van West scriverà
sempre le sue canzoni col cuore, come ha fatto con Happiness To Burn, prima o
poi farà breccia anche in quello di coloro che avranno la fortuna di imbattersi
nei suoi album. Speriamo cominci da subito.