Sono queste le storie che
ci piace ancora raccontare, quelle di band come i Diesel Park West,
un nome che io stesso ho scoperto solo grazie a questo Let It Melt,
con conseguenti gravi sensi di colpa. Mi vengono in soccorso le note di
copertina, che dicono che si tratta del loro nono album, e che “nove è
un bel numero, decisamente più rock and roll di otto” (???), e che serve
anche a ringraziare chi li ha seguiti da sempre, ma anche chi sale sulla
barca soltanto ora. E allora saliamo volentieri a bordo anche noi, e navighiamo
con questo quartetto di Leicester (la line-up odierna vede John Butler,
Rich Barton, Geoff Beavan e Rob Morrische) che bazzica i pub del Regno
Unito fin dal 1980, e il cui primo album (e anche l’uno è in fondo è un
bel numero rock and roll, o no?) dal significativo titolo Shakespeare
Alabama, ebbe anche l’onore di entrare in top100 UK, così come il
secondo album Decency del 1992.
Let It Melt è un disco che consiglio a chi ancora cerca quel pub-rock
di ispirazione americana, ma di marca tutta britannica, che vede nei Pretty
Things i veri capostipiti, e i Dr Feelgood il vero motore trainante nel
corso degli anni Settanta. Let It Melt,
la title-track che apre questo frizzante lavoro, trasuda di quell’amore
per le chitarre che furono dei primi Rolling Stones e una certa impronta
vagamente blues, così come Pictures in The Hall sa davvero dei
Pretty Things degli anni Settanta. Ma il loro essere britannici fin nel
midollo esce allo scoperto con la bellissima No
Return Fare, il brano che vorremmo sentire oggi in una ipotetica
reunion dei Kinks (La fanno? Non la fanno?), mentre The Golden Mile
batte di nuovo sull’acceleratore del garage-rock. Ci vuole Scared of
Time a far tirare il fiato, un bellissimo up-tempo che sembra rubato
dalla carriera più recente di Peter Wolf, mentre Everybody’s Nuts
sembra una di quei brani apparentemente scazzati del Keith Richards solista.
Da notare anche la programmatica Living In The
Uk con il suo splendido piano boogie alla Ian Stewart, il rock
and roll alla Faces di Bombs Away e il pop giocoso di Across
the Land.
E la storia da raccontarvi dov’è in tutto questo? Era questa, e cioè che
esistono ancora band che dopo quarant'anni di carriera non chiedono nulla
se non suonare del rock and roll old-style che pare uscito da una svendita
per sgombrare un garage che era rimasto chiuso dal 1964, e che lo fanno
in maniera fresca e con canzoni che ci rassicurano sul fatto che sì, il
rock sarà anche morto, ma i suoi zombi girano ancora liberi in
questo mondo, e suonano ancora alla grande.