Riassumono la loro filosofia
musicale e l’approccio alla tradizione dichiarando che la folk music non
è qualcosa che riguarda la perfezione, il talento o la ricerca del migliore
arrangiamento, semmai l’espressione di un racconto in musica, il sentirsi
connessi fra persone cantando della gioia e delle tristezze della vita.
Tutto molto lodevole, in linea con un certo purismo acustico che ha riscoperto
in questi anni il ricco patrimonio della canzone popolare, in questo caso
divisa fra le radici irlandesi e celtiche e quelle in seguito maturate
dall’immigrazione in America. A ribadire il concetto Sophie Janna e Margot
Merah, duo di voci e chitarre che compongono l’anima del progetto The
Lasses, nato durante una serie di session spontanee in un pub, The
Mulligans, della loro città natale, Amsterdam, e poi sviluppato attraverso
tre dischi di studio (l’esordio nel 2012 con l’omonimo album) e uno dal
vivo.
L'attaccamento alla tradizione è fuori discussione, così come le intenzioni
di risultare le più sincere e scarne possibili, pochi strumenti ad abellire
i suoni, un corno francese suonato da Morris Kliphuis, il violino di Mirte
de Graaff, una manciata di chitarre elettriche, mandolino e dobro nelle
mani del produttore Janos Koolen. La contraddizione è che quella perfezione
di cui si parlava in apertura in verità è più volte sfiorata: Undone
non è disco dalla fattura grezza, rurale, come potrebbero far presagire
le promesse, non abita insomma i luoghi oscuri del folklore, sia esso
americano o di ascendenza celtica, è semmai una carezzevole sequenza di
angeliche interpretazioni acustiche, attraversate da una sottile e agrodolce
malinconia autunnale, nel quale risaltano i toni cristallini degli strumenti
e soprattuto l’intreccio garbato delle voci di Sophie e Margot, che decidono
di aprire la scaletta con il canto a cappella di Undone in Sorrow.
Tre originali, tre tradizionali e sette cover pescate da un vasto canzoniere
nel quale trovano posto piccoli capolavori come Motherland
di Natalie Merchant, il classico Who Knows Where
The Time Goes di Sandy Denny e altri ripescaggi assai meno
conosciuti, come Torn Screen Door del cantautore scozzese David
Francey e What Do You Do With What You Got del dimenticato Si Kahn.
Fra il materiale autografo delle Lasses emergono il docile ondeggiare
della pianistica Hunter Moon, seguita
dal walzer leggiadro di Here Now, con violino e mandolino a punteggiare
la melodia antica, mentre Bowley’s Dance introduce anche una timida
chitarra elettrica e un suono vagamente jazzy. Tutte sono accomunate,
dicono le stesse The Lasses, dal desiderio di recuperare il sangue freddo
perduto, di innalzare momenti di libertà e gioia nei tempi duri. L’effetto
di Undone è senza dubbio rappacificante e le voci di Sophie Janna
e Margot Merah un riparo dalle brutture del mondo, anche se vorremmo che
la prossima volta si prendessero qualche rischio in più.