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an irish man in Nashville
di Davide Albini (05/05/2020)
Cantautore di origini irlandesi
ma con amicizie americane e un amore nemmeno troppo celato per quelle
sonorità che lo hanno nutrito da oltreoceano, Ben Reel ha avuto
la sua “chiamata” grazie all’intercessione dell’amico Tommy Womack. Per
chi frequenta un po’ i bassifondi del rock delle radici dell’altra Nashville,
il nome di quest’ultimo potrebbe dire qualcosa, agli altri basti sapere
che Womack ha alzato la cornetta del telefono una sera di gennaio del
2019, mentre Reel era in tour a Salisburgo, e gli ha prospettato l’idea
di un disco da incidere nella capitale del country, con uno stuolo di
ottimi musicisti a disposizione. Fatte le valigie, il nostro Ben ha colto
la palla al balzo: non capita tutti i giorni di avere intorno le chitarre
di Will Kimbrough (da Todd Snider a Grayson Capps a mille altri, un nome
che conta parecchio nel giro e anche con una discreta carriera solista),
il basso di mister Gary Tallent (E Street band, e guai a voi se avete
dovuto leggere per ricordaverlo!) e la batteria di Evan Hutchings.
In tre giorni, presso gli Skinny Elephant Studios di Nashville, con la
produzione della stessa coppia Womack-Kimbrough, hanno inciso undici brani
originali che non reinventano nulla ma fanno girare ancora la ruota di
quel rock’n’roll che profuma di country, di soul, qualche volta tentando
anche la carta di suono pop chitarristico più sbarazzino. D’altronde,
Ben Reel un po’ di gavetta l’ha fatta e mi pare che il mestiere ci sia
tutto: è in giro da una ventina d’anni, ha esordito nel 1999 con This
Is the Movie, ha suonato in lungo e in largo tra Europa e States,
dividendo il palco con David Olney, Eric Andersen e lo stesso Tommy Womack,
e qualche canzone l’ha piazzata anche alla radio nazionale e alla Bbc.
Vanta soprattutto una voce che tiene botta, con forza e dignità, mentre
le composizioni convincono, con le giuste vibrazioni elettriche, a partire
dall’heartland rock di All in Good Time,
che potrebbe stare in compagnia di tutti quegli outiders che hanno scelto
il battito della strada come ragione di vita.
E' la volta poi del ritmo più scanzonato di Tough People, che mi
ha ricordato il compianto Greg Tropper, altro figlio adottivo di Nashville,
mentre Safe and Sound sceglie un tono
minore e più drammatico, con una bella interpretazione vocale di Ben Reel
e dei cori della compagna Julieanne Black Reel e un lavoro sempre incisivo
di Kimbrough, che si divide tra chitarre, organo, piano elettrico. Like
a Breeze promette quanto dichiara nel titolo, è leggera e soulful,
un po’ funkeggiante, e bene si accompagna alla melodia di Immagination,
sebbene il nostro irlandese espatriato offra il meglio del suo campionario
nella drammatiicità di Up There In the Sky,
una ballata rock urbana dai toni bluastri, che apre ad un finale di partita
denso di profumi folk. L’armonica si aggiunge all’abito roots di Fine
Wine, mentreBroken e Borrowed Time sonoun’accoppiata da crepuscolo in Tennessee, dove emergono fragranze
rurali, con interventi di dobro e mandolino.
Un songo diventato realtà, afferma Ben Reel, e con The Nashville
Calling ha afferrato la sua opportunità: forse non è tornato in
Irlanda con un capolavoro tra le mani, ma una manciata di oneste canzoni,
suonate con lo spirito giusto, questo certamente.