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Rupert Wates
Lamentations
[Bite Music 2020]

Sulla rete: rupertwatesmusic.com

File Under: solo folk

di Marco Restelli (14/01/2021)

Come sarebbe possibile non giudicare a dir poco coraggioso un artista in grado di concepire, a esclusivo beneficio di qualche “superstite romantico”, un album interamente stripped to the bone (voce e chitarra acustica)? Il londinese Rupert Wates in un solo giorno si è chiuso in studio di registrazione uscendone fuori con il suo ottavo album, nuovo di zecca, al quale ha dato un titolo: Lamentations che, a dirla tutta, potrebbe addirittura scoraggiarne l’ascolto. In realtà, dopo averlo fatto svariate volte, ciò che mi sembra più evidente è che questo suo lavoro non solo non annoia, ma sembra abilmente rubato dagli scaffali di Richard Thompson (soprattutto), Nick Drake o John Martyn. Gli autorevoli richiami non sono affatto gratuiti, perché dietro ogni pezzo è facile percepire l’influenza di questi “mostri sacri” del folk inglese ai quali, a modo suo, sembra voler rendere omaggio. La sua voce, dal marcato accento britannico e calda come una coperta, è al centro dell’estetica di questa dozzina di canzoni semplici e poetiche che raccontano storie sull’inesorabile scorrere del tempo, sulla vita, sulla morte e sull’amore.

L’iniziale The Carnival Waltz è una ballata intensa che apre le danze con una melodia avvolgente. Utilizzando l’allegoria della giostra e dei suoi cavalli che girano, Wates ci fa riflettere sui tanti volti delle persone che incontriamo e alle quali vogliamo bene ma che, purtroppo, a un certo punto scompaiono dalla nostra vita. Alcuni ritornano, ma altri per svariati motivi (compresa la morte) scendono dal carosello e ci lasciano per sempre. In Time Of Breaking parla dei momenti difficili che primo o poi arrivano per ognuno di noi e che dobbiamo affrontare ben sapendo che il mondo va avanti lo stesso, anche quando per noi (o chi amiamo) sta arrivando la fine. L’incantevole California One racconta di un viaggio sull’autostrada che attraversa tutto il Golden State durante il quale le immagini della splendida natura, che regalano uno spettacolo magnifico, diventano l’occasione per considerazioni di carattere personale e relative a un rapporto sentimentale. L’episodio forse più bello del disco è il coinvolgente finger picking di From Where You Are che scalda il cuore attraverso la musica e i suoi versi sognanti (…With love alone to be your guide you’ll touch the skies / You’ll take a ride with me on my guitar). Ascoltarla al buio, soli davanti al fuoco (per chi ha la fortuna di poterlo accendere) o guardando le luci fuori dalla finestra regala momenti unici.

Farewell And Adieu, la più Dylanesque dell’album, parla del difficile addio ad un amico, mentre l’album si chiude con la più andante I'll Never Tire Of Looking (in Your Eyes), dichiarazione di amore di un uomo ormai anziano alla propria donna (“once I was a young man knocking on the doors getting tired of hearing no reply Now I’m so much older than I was before but I’ll never tire of looking in your eyes”). Come dicevo all’inizio, roba per inguaribili romantici ormai fuori moda, tutti gli altri ne restino alla larga.


    


<Credits>