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Sierra Ferrell
Long Time Coming
[Rounder 2021]

Sulla rete: sierraferrellmusic.com

File Under: next country stars

di Fabio Cerbone (07/09/2021)

Cominciamo dalle certezze: Sierra Ferrell ha una voce clamorosa, una di quelle che ti inchioda alla sedia se hai a cuore certa country music; un mix invidiabile di mestiere, controllo e passione, qualcosa che non suona artefatto, eppure mostra anche tutta la malizia di una musicista navigata. Una spiegazione potrebbe arrivare direttamente dalla biografia personale di Sierra, una ragazza che ha già visto e vissuto molto, prendendo la decisione di lasciare casa, la nativa terra della West Virginia, poco dopo i vent’anni, e viaggiando nel mito del vagabondaggio americano. Di lei si racconta che abbia girato le strade di New Orleans, del Texas, su fino a Seattle, e che abbia suonato per ogni tipo di pubblico, proponendo le sue canzoni originali ma anche molti classici del folk, prima di approdare a Nashville e cominciare a farsi un nome.

È in una di queste tante esibizioni, durante un concerto in un piccolo club, che la Rounder ha messo gli occhi sul suo talento, portandola subito in studio sotto la guida dell’esperto produttore Gary Paczosa (Alison Krauss, Gillian Welch e tanti altri) e coinvolgendo una lista di collaboratori di lusso (Jerry Douglas, Tim O'Brien, Sarah Jarosz e Dennis Crouch dovrebbero bastare…), per dare una verniciata di qualità a questo esordio, Long Time Coming. Forse hanno giocato anche i numerosi video caricati sulla rete (oggi è ormai una modalità con cui fare i conti) che ne hanno svelato il talento e, perché no, l’aspetto: da una parte una voce che più country di così si muore, e che porta i segni delle grandi interpreti del passato, da Loretta Lynn a Kitty Wells e Dolly Parton, dall’altra un’immagine “randagia”, comprensiva di piercing e tatuaggi.

Quello che conta è sempre e soltanto la musica e sulla buona fede di Sierra Ferrell e del suo Long Time Coming ci possiamo mettere la mano sul fuoco: è un disco accattivante, anche furbesco se volete, nel tenere in piedi un intruglio di sonorità vecchio stile, che rievocano l’America degli anni Cinquanta, il country rurale, l’honky tonk e il bluegrass (Jeremiah, Silver Dollar), che incontrano il jazz blues di New Orleans (At the End of the Rainbow), lo swing (l’apertura con The Sea), persino richiami calypso (l’irresistibile Why’d Ya Do It) e un po’ di accenti spagnoleggianti (Far Away Across the Sea). Il sospetto è quello di ottenere un effetto da cartolina, e l’accusa di un eccesso di revival potrebbe essere mossa tranquillamente nei confronti di Sierra, ma è altrettanto indiscutibile che l’album suoni ricco di sorprese, camaleontico nel cavalcare ogni suggestione della musica americana tradizionale, riportando alla luce stili differenti.

Bisogna capire adesso se Sierra Ferrell (la quale comunque firma da sola o in coppia buona parte del materiale) vorrà fare sul serio e in quale direzione andrà a parare: canzoni come la nostalgica West Virginia Waltz o la dolcissima In Dreams brillano di luce propria e ribadiscono la confidenza che la Ferrell possiede con l’intero spettro della tradizione. Speriamo soltanto non si faccia incantare troppo dalle sirene nashvilliane e provi ad acquisire ancora più personalità musicale: con quella voce può davvero arrivare in alto.


    


<Credits>