Tyler Bryant & The Shakedown
Wild Child
[
Carved Records
2013]

www.tylerbryantmusic.com

File Under: arena rock blues

di Fabio Cerbone (16/03/2013)

Già impacchettato per il ruolo di prossimo guitar hero, Tyler Bryant è un prodigio di ventuno anni all'anagrafe (ma la chitarra l'ha scoperta a undici) che prova a rilanciare le quotazioni di un rock blues arcigno, dove i muscoli, la presa diretta e il gesto plateale giocano un ruolo centrale. Con le radici nere evocate sullo sfondo e un sound spaccone che ha digerito la lezione dell'hard rock settantesco così come quella del rock'n'roll più ruffiano degli anni '80, Bryant pare una via di mezzo improponibile tra Stevie Ray Vaughan e Bon Jovi. Del primo semplicemente richiama in superficie il talento adolescenziale, ma certamente non il gusto e l'intelligenza per spostare in avanti la ricerca, senza tradire la memoria del blues: insomma, un New Generation Award ricevuto a 16 anni dalla Robert Johnson Foundation non basta a rifarsi il pedigree e neppure il fatto di avere partecipato al Crossroads di Eric Clapton o di avere aperto qualche concerto di Jeff Beck.

Del secondo invece affiorano non causalmente le facilonerie d'accatto radiofonico di brani come Still Young (Hey Kids) e in generale di un big sound elettrico che si credeva cancellato dall'orizzonte. Cold Heart e l'eccitazione fuori misura di House on Fire si divertono a riprendere un rockaccio da radio Fm americana che andrebbe bene più nel repertorio dei Motley Crue che non in quello di un presunto nuovo messia cresciuto, così affermano le sue cronache biografiche, tra Muddy Waters, i Black Crowes (che in effetti sono vagamente sfiorati nell'intro sudista di Fools Gold) e Tom Petty. In verità i colpi di slide e la matrice swamp che emerge in episodi quali Lipstick Wonder Woman, Last One Leaving o Downtown Tonight rammenta meglio Eric Sardinas, altro virgulto un po' sprecato sull'altare di un rock blues tutto d'effetto e poco di cervello. The Shakedown restano comunque una band di tutto rispetto e il suono ricreato da Vance Powell (Jack White, Danger Mouse, Kings of Leon) negli studi di Nashville ha tutte le caratteristiche di un'epoca vintage aggiornata con quel tanto di malizia per piacere al pubblico di I-Tunes (dove il primo ep del 2011 di Bryant ha spopolato).

Caso vuole che fra i musicisti ci sia anche un figlio d'arte, quel Graham Whitford (chitarra ritmica) figlio di Brad, bassista degli Aerosmith…e allora tutti i frammenti del puzzle sembrano combaciare alla perfezione: tra una Say a Prayer che guida l'assalto con riff grassi e saturi, la ruffiana You Got Me Baby e l'esplosione heavy di Where I Want You non cadiamo distanti dalla pianta di Steven Tyler e soci, quanto meno quelli più gradassi degli ultimi trent'anni. Che il finale ritorni nelle braccia della tradizione, con la National e l'anima delta-blues di Where I Want You è solo un premio di consolazione o forse meglio la dimostrazione che a Tyler Bryant interessa giusto lavarsi un po' la coscienza. Il suo posto oggi sembra essere piuttosto quello di qualche colonna sonora o serie televisiva, dove il gancio furbesco dei suoi hard blues al testosterone avrà gioco facile.


     


<Credits>