Thom Chacon
Thom Chacon
[
A2z Entertainment
2013]

www.thomchacon.com


File Under: hardcore troubadour

di Fabio Cerbone (05/04/2013)

C'erano una volta i "Nuovi Dylan", categoria infame (ma piena di talenti naturali) che avrebbe portato sulle spalle un peso umanamente insostenibile. Tra alti e bassi, colpi d'ala e ritorni clamorosi, molti sono riusciti a ricavarsi il loro spazio, qualcuno addirittura a crearsi un angolo di paradiso e forse fra tutte la storia di John Prine è quella che ha ottenuto il migliore lieto fine: un ruolo centrale nel mondo Americana, la stima imperitura dei colleghi, una manciata di dischi che hanno tracciato la storia (nascosta) del country e del folk rock d'autore, quell'altra America per così dire, dove contano parole, personaggi e l'arte del racconto. Così oggi non è un'idea balzana scoprire che esistono anche i "Nuovi Prine": da un bel pezzo a dire il vero, tanto che i nomi di Todd Snider (allievo prediletto, che ha finito anche per incidere sull'etichetta Oh Boy dello stesso Prine) o Chris Knight hanno saputo portare avanti il testimone.

Thom Chacon da Denver, Colorado, si aggiunge alla lista e diventa più realista del re: voce strascicata, suono elettro-acustico secco e ridotto all'osso, la centralità dello storyrelling come un faro artistico nel suo modo di intendere la musica. Più di tutto un'immagine da troubadour (e qui rientrerebbe dalla finestra anche Townes Van Zandt, irrnunciabile in questi casi) che prima di incidere il suo omonimo esordio ha girovagato per il mondo (ha fatto persino da opening act per Jason Mraz…ve lo immaginate?) e si è messo alla prova con un disco acustico niente meno che dal vivo nella prigione di Folsom, novello Johnny Cash. Spalle larghe non gli mancano insomma, anche se Thom Chacon suona più come un tentativo di trovare la sua voce che non un vero e proprio album rivelazione, come ha sottolineato una parte della stampa americana. Ci sono troppe somiglianze e assai poca personalità per intravedere in Innocent Man, nella scura American Dream o in Chasing the Pain qualcosa in più di un diligente discepolo.

Aggiungete il dato non secondario delle presenze in sessione di Tony Garnier e George Recile (guarda caso fiancheggiatori nella band di un certo Bob Dylan….) e stringete la morsa su Thom Chacon. Il quale sconfina a tratti dal recinto del narratore acustico con un suono full band (A Life Beyond Here, Ain't Gonna Take Us Alive, da qualche parte fra il citato Todd Snider e i mille testimoni dell'America più profonda), ma non sposta mai di una virgola la sostanza delle sue canzoni. Queste ultime possiedono l'anima ribelle dei migliori "fuorilegge", raccontano come è ovvio l'altra faccia del sogno americano con quella lucidità spietata che ti aspetteresti da un ragazzo cresciuto con le foto sbiadite di Woody Guthrie e Johnny Cash nella tasca dei pantaloni. Facendo lo slalom tra rustico country blues da portico (Bus Drivin' Blues), ballate tinteggiate di un pigro feeling sudista (Big River, Amy) e fingerpicking di stampo classico, Chacon suscita numerose suggestioni e una rassicurante verità: che gente della sua dura pasta, seppure in numero ridotto, spunterà sempre all'orizzonte. "Three chords and the truth" dicono dalle sue parti, che questo poi si traduca anche in disco un po' meno didascalico è tutto un altro paio di maniche.


     


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