Jarrod Dickenson
The Lonesome Traveler
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Jarrod Dickenson
2012]

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File Under: alt-country, folk rock

di Marco Restelli (13/04/2013)

C'è una generazione di cantautori americani in ambito roots/folk che sta venendo su veramente bene. Penso a nomi più noti, come i vari Ray La Montagne o Jeffrey Foucault, ma anche a meno noti come Dylan LeBlanc o Ben Bedford. Il bello, come sempre, è che nessuno di questi virgulti ha mai pensato di inventare qualcosa di nuovo ma piuttosto, attraverso la propria sensibilità, di spaziare in territori tradizionalmente già esplorati da qualche decennio da altri pezzi da novanta come Bob Dylan o James Taylor, giusto per citare due fra i più grandi. Ed il risultato finale, normalmente, sembra essere sempre piuttosto piacevole. Anche Jarrod Dickenson, texano di origine e trapiantato poi nella grande mela, con questo The Lonesome Traveler dichiara (più che un titolo, un programma da storyteller vagabondo) le sue intenzioni di seguire le orme dei succitati e provare a sfondare. Nella carovana trascina giovanotti che conoscono bene la strada come Greig Leisz (collaboratore di Dave Alvin, Bon Iver e lo stesso La Montagne) o il bassista David Piltch (k.d. lang, Mary Margaret O'Hara, Hugh Laurie) e altri due compagni di viaggio di pari e fidata esperienza.

Le sue carte le gioca bene sin dall'iniziale Ain't Waitin' Any Longer nella quale per la sua amata il protagonista mette subito le carte in tavola, implorandola impazientemente di presentargli mamma e papà per chiedere loro la mano della figlia e poi di cercare presto una chiesa per il grande giorno. Il ritmo che coinvolge tutta la band è stradaiolo quanto basta e, anche se nel corso dell'album l'episodio risulterà più un'eccezione che la regola, il tutto suona piuttosto accattivante. In The Northern Sea (dominata da una lap steel) - ispirata nel testo ad un romanzo dello statunitense Steinback - il personaggio principale è un pescatore del New England che fa fatica a tirare avanti la propria famiglia (…and the catch is usually weak) proprio come quello della successiva e quanto mai esplicita ballata No Work for the Working Man (qui è il banjo a farla da padrone) che sembra tratta da una pagina qualsiasi di cronaca dei difficili giorni che stiamo vivendo (…I sold all of our furnitures…).

Certamente spicca anche la piano-driven ballad (con pedal sullo sfondo) Rosalie, dove il romanticismo tutt'altro che banale di Dickenson ci racconta con tenerezza di un uomo che dopo aver lasciato la casa e la donna torna per dirle che con il tempo è cambiato ed ha capito di non poter più vivere senza di lei (take my hand Rosalie…..we don't have to face this world alone….so leave the porch light on, I'm coming home….I'llprove my love to you somehow…I'm on my knees and i swear that i won't let you down). Probabilmente la regina del disco. Sarebbe da citarle un po' tutte queste intense storie come Back to Eden, I Remember June nonché la splendida ed essenziale Seasons Change (voce e chitarra), piazzata giusto nel finale, la cui linea melodica rievoca piacevolmente una delle tante canzoni di quell'astro nascente che a mio avviso è Robert Ellis. Risulterà, nell'economia del disco, come una vera e propria firma a beneficio dell'ascoltatore per lasciarlo ben sperare sul futuro del nostro Jarrod: il ragazzo americano ha tutti i fondamentali per far parlare ancora di sé a lungo, purché chiaramente l'ispirazione non lo abbandoni, ma quello vale per tutti.



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