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West-Coast
dreamin' di
Gianfranco Callieri (14/10/2013)
Nonostante la ragione sociale, che li farebbe supporre provenienti dal Wisconsin,
i sei membri dei Farewell Milwaukee arrivano tutti, o quasi, dalla città
di Minneapolis, forse il centro più importante (non la capitale) del vicino Minnesota.
Sempre di Midwest si parla, dopotutto. E secondo il cantante e compositore Ben
Lubeck, è proprio la comune origine midwesterner dei componenti della band a costituirne
la principale fonte di ispirazione, assieme, magari, al folk-rock targato Laurel
Canyon degli anni '70. I referenti di stile dei Farewell Milwaukee sono piuttosto
evidenti: l'armonizzazione delle voci tenorili di Lubeck e Aaron Markson, l'onnipresente
pedal-steel del nuovo arrivato Dave Strahan e l'impianto strettamente country-rock
delle undici canzoni di Can't Please You, Can't Please Me non può
non evocare i nomi di Jackson Browne, Gram Parsons, Flying Burrito Brothers e
Jayhawks, tutte influenze peraltro ammesse e rivendicate alla stregua di un DNA
sonoro dal quale è impossibile prescindere.
La ricetta, già sperimentata
con discreto successo nei precedenti, più acerbi Autumn Rest Easy (2009) e When
It Sinks In ('11), viene qui sottoposta a qualche piccolo accorgimento che se
da un lato ha il merito di rendere i pezzi più maturi, più classici, in certe
occasioni persino, nel loro piccolo, definitivi, dall'altro corre il rischio di
sordinare l'irruenza e l'urgenza espressiva dei due lavori appena citati. Can't
Please You, Can't Please Me, rispetto ai suoi precursori, è un album senz'altro
migliore, al tempo stesso più affilato e rifinito, più elegante e coinvolgente.
Anche perché brani come l'iniziale Let Me Sleep Tonight
o la successiva title-track, trascinanti mini-sinfonie alt.country
in cui un uso delle tastiere derivato da Richard Manuel (The Band) e solenni impennate
elettriche dove i nostri sembrano inseguire, se non la sporcizia, almeno il ruvidume
e l'abbandono emotivo dei concittadini Replacements (Can't Please You, Can't Please
Me, per giunta, potrebbe appartenere al corso mainstream con rabbia degli ultimi
Wallflowers), i Farewell Milwaukee non li avevano ancora scritti.
Gli
stessi scatti di pathos, pur privo di qualsiasi esagerazione teatrale, lo stesso
diluvio di sensazioni contraddittorie sull'amore e sull'amicizia tradotte in un
folk muscolare, fatto di batterie ruggenti, rasoiate della sei corde e squarci
di toccante lirismo pianistico, ritorna verso la fine del programma, in occasione
di True Love Doesn't Leave Scars, dell'epica
You Were The Thunder e della raccolta (e nondimeno ricca di suggestione) ballata
semi-acustica Dear Mother. Grande partenza
e grande congedo, insomma, anche se le restanti sei tracce incorniciate da questi
cinque brani non sembrano possedere la stessa intensità, lo stesso trasporto,
e anzi si accontentano di citare con scarso brio tutti i trucchi e i trucchetti
già mille volte adoperati dai vari punti di riferimento californiani di cui sopra.
Per il momento, Can't Please You, Can't Please Me resta un album piacevole e interessante,
ma per sapere se saranno i Farewell Milwaukee, in mezzo a migliaia di altri gruppi,
a raccogliere i nostri desideri e a dar voce alle nostre mancanze, bisognerà aspettare
ancora un po'.