Ethan Freckleton
The Crazy Things We Say
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Ethan Freckleton  
2012]

www.ethanfreckletonmusic.com
www.myspace.com/ethanfreckletonsongs


File Under: rock, Americana

di Silvio Vinci (25/02/2012)

Nuovo nome del panorama rock americano, originario di Seattle, Ethan Freckleton può essere considerato, potenzialmente, uno dei più meritevoli discepoli di un ben noto rock, quello più attuale, che fonde abilmente un po' tutti i generi che hanno attraversato il periodo 60-70, con il country rock e il grunge dei primi 90, e non potrebbe essere altrimenti viste le sue origini . Il suono perciò è quello che conosciamo e mastichiamo da tempo, un rock senza fronzoli, ma deciso "morso" come da copione da uno che viene dalla patria del grunge. Da alcuni anni Ethan Freckleton ha intrapreso una carriera musicale che lo ha visto girovagare per gli States con numerosi concerti e apparizioni radiofoniche (il prestigioso Marty Riemer Show, per il circuito indie, ad esempio) e ha all' attivo un EP di debutto del 2010, Free To Be the Monkey, che gli ha permesso di farsi conoscere nel circuito alternative rock, creando quelle giuste aspettative che lo volevano al vero debutto maturo e carico. Le aspettative non sono andate tradite: il suo ultimo lavoro, che abbiamo sotto mano, è un buon disco, sufficientemente cesellato e costruito negli ultimi due anni in modo da proiettare il nostro giovane rocker nella sezione delle migliori speranze, relativamente alla nuova onda di cantautori e bande americane che abbiamo ascoltato di recente.

The Crazy Things We Say è un disco abbastanza solido, con nove canzoni che nonostante la loro brevità si rivelano ben scelte. Sin dai primi ascolti ci consegnano un autore/esecutore già sicuro di sé, pur in debito stilistico con i grandi eroi del rock americano come Tom Petty, Steve Earle, Bob Seger, giusto per inquadrare subito lo stile di Freckelton. Si parte con Waltz the Red Carpet, asciutta, breve e nervosa, con il suo fraseggio di chitarra e un morbido accompagnamento di organo che mi ricorda certe cose di Rocky Ericksson (sopratutto la voce); segue It Was On The Radio, anch'essa breve, più melodica e orecchiabile, con il gradevole supporto di un coro femminile, appena accennato, che riascolteremo in diverse canzoni del disco come per esempio The Soing Ain't Over. Piano piano cresce lo spessore compositivo ed esecutivo e lo percepiamo specialmente in Wendy Was a Robot, gradevolissima canzone, in stile Paisley Underground, ipnotica e pigra, vagamente psichedelica, grazie sopratutto al prezioso fraseggio di organo Hammond e di un acidissima chitarra. Don't wanna Dance, molto vicina al piglio di Rocky Ericksson anche come architettura, e Ode to Danny Gatton , l'unico pezzo strumentale, ci fanno capire chiaramente che la Fender Telecaster è il riferimento strumentale, tra le chitarre, del giovane Ethan.

Molto bella, forse il pezzo migliore del disco, la cover di Mary Jane's Last Dance di Tom Petty, cantata e suonata con devozione e rispetto: pur spartana, risulta arrabbiata ma anche impreziosita da qualche originale spunto strumentale e dai cori femminili. In chiusura Free to Be The Monkey, già presente nel EP del 2010, briglie sciolte e giro di accordi originale, e ultima, la mia preferita, Staircase, coraggiosa cavalcata rock, acida e brillante per melodia e arrangiamenti, con un bel bridge in crescendo che chiude un disco di debutto, tutto sommato, gradevole. Ethan Freckleton è in sicura crescita, specialmente se sarà capace,a mio parere, di dilatare un poco certi brani, che potrebbero irrobustirsi se prodotti con mezzi superiori, scrivendo magari in maniera meno derivativa da un solco abbondantemente sfruttato da decine di rocker, ma forse per lui, in questo momento necessario.



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