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rockin' in the usa di
Fabio Cerbone (17/06/2013)
Con il più furbo dei compromessi possibili tra la loro educazione rock sudista
e un sound da arena, come lo definirebbero negli States, che si cura di apparire
assolutamente patinato, pronto magari ad agganciare il treno di qualche programmazione
radiofonica, il sestetto dei Dirty Guv'nahs tenta il grande salto con Somewhere
Beneath These Southern Skies. Una coppia di chitarre come prevede il copione
del genere (Michael Jenkins e Cozmo Holloway), l'altrettanto canonica voce dalle
gradazioni black di James Trimble, persino due fratelli (ci vogliono anche loro
per rispettare la tradizione) a tenere in pugno la sezione ritmica (Aaron e Justin
Hoskins), The Dirty Guv'nahs (stramba denominazione che deriva dal soprannome
di un amico della band) completano la ricca formazione con l'organo di Chris Doody,
pronti ad accodarsi al rinascimento southern di questi anni.
Magari evitando
adeguatamente la "sporcizia" di band come Drive-By Truckers o Lee Bains e pensando
semmai al suono mainstream più piacione e robusto, che già si era fatto largo
nella loro precedente pubblicazione indipendente, quel Youth is In Our Blood che
li aveva piazzati al centro dell'attenzione. A quasi un anno circa dall'uscita
americana di Somewhere Beneath These Southern Skies, la Blue Rose recupera stranamente
per il mercato europeo il terzo lavoro del sestetto di Knoxville, Tennessee, forse
pensando di sfruttare un'altra via, più immediata e radiofonica, al giovane linguaggio
southern rock. Siamo dunque lontani anni luce, per sensibilità sonora, da altri
interessanti act dell'etichetta tedesca, come i recenti Uncle Lucius o Statesboro
Revue: prodotto a Nashville da Ross Copperman - autore che arriva da collaborazioni
con star country come Dierks Bentley e Tim McGraw - con mano sensibile per l'immediatezza
pop (il singolo Can You Feel It, nel solco
di Hootie & The Blowfish), l'album è un inoffensivo e gradevole quadretto di rock
stradaiolo e ammiccamenti da top 40 americana, tagliato su misura per qualche
passaggio da colonna sonora di serie tv.
Quando entra in gioco la sezione
fiati a riempire il calore dell'esecuzione, la voce soul di James Trimble ne guadagna
in sentimento e i Dirty Guv'Nahs offrono buone vibrazioni (Good
Luck Charm, Honey You, This
is My Heart), ricordando una versione edulcorata dei primi Black Crowes (quelli
di Shake Your Money Maker) o se preferite dei Georgia Satellites meno rozzi e
con più appeal per il grande pubblico. Quando invece la band strizza l'occhio
al più generico dei suoni chitarristici da classifica, ne escono scialbe ballate
e mid tempo (Temptation, 3000 Miles,
Dear Alice) che escono di scena in fretta senza lasciare traccia. Con l'inflazione
dilagante di uscite a tema sudista, francamentre c'è di meglio su cui far cadere
la propria scelta.