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Texamericana di
Marco Restelli (13/03/2013)
A
volte i migliori sodalizi artistici nascono spontaneamente, senza una reale programmazione
alle spalle o, peggio ancora, del puro calcolo. Ed è così, quasi per caso, che
prende vita questo progetto musicale che vede da una parte l'ottimo chitarrista
Andrew Hardin - già collaboratore di gente del calibro di Tom Russell,
Dave Alvin, Eliza Gylkison, Jimmy Lafave solo per citare i più noti - e dall'altra
l'eccellente vocalist Jeannie Burns, del trio The Burns Sisters, con alle
spalle già nove dischi di cui uno solista (Coming Up Close, del 2001). Lo stile
che il duo sceglie per esordire sulla scena è un alternative country, con venature
blues e folk sparse qua e là, mettendoci dentro impegno e classe che emergono
sostanzialmente in tutti i pezzi.
Dopo il cadenzato blues iniziale di
Your kiss, in verità un po' sottotono, il disco decolla subito con un paio
di brani veramente interessanti. Il primo, The Road,
si distingue per il sapore west coast, con i vocalizzi incrociati dei due artisti
e l'accattivante melodia cesellata dal violino di Fats Kaplin, mentre il secondo
My Perfume è una incantevole e malinconica ballata in chiave acustica
che parla della fine di un amore che forse avrebbe meritato miglior sorte. Nella
parte centrale di Lounge il livello si mantiene qualitativamente
piuttosto alto, sia quando si alternano pezzi dal piglio stradaiolo come Earhquake
Hurricane Flood, sia quando partono pezzi più lenti come la delicata
e cullante Angels Waiting, nei quali il timbro
della Burns lascia decisamente il segno. Anche Hardin, ogni tanto, si presenta
al microfono per duettare con la compagna di viaggio ed il risultato finale non
cambia, rispetto a quanto già ascoltato, come nella piacevole I
Lost my Faith, impreziosita dalla fisarmonica di Jen Gunderman, sullo
sfondo, o nella tanto semplice quanto bella midtempo Stars
Are Shining, dilatta dalla gustosa pedal steel, ancora del succitato
Kaplin.
Il disco chiude con una cover che si sposa molto bene col mood
dolce amaro del disco, Beware of Darkness
(dal mitico All Things Must Pass di George Harrison, che Dio lo abbai in gloria).
Il brano viene trattato col rispetto che merita ed ogni membro della band sembra
dare il meglio di sé, evidentemente per tentare di restare il più possibile all'altezza
del suo autorevole autore. Missione perfettamente compiuta. Termino confermando
quanto già di buono ho detto nelle righe di questa sintetica recensione ed aggiungendo
il solo l'auspicio che la collaborazione fra Hardin e la Burns non resti una semplice
meteora, ma possa avere un seguito, mantenendo magari la stessa spensieratezza
e freschezza che trasuda da ogni nota di Longue.