Fabian Holland
Fabian Holland
[
Rooksmere Records
2013]

www.fabianholland.com


File Under: folk blues

di Christian Panzano (09/10/2013)

Il piccolo Fabian finiva sempre in tempo di giocare. Nei pomeriggi in cui il sole faceva capolino, mostrava il naso fuori dalla finestra dove altri ragazzini continuavano a farsi sgambetti. Fabian si inizia dai! Lo ammoniva il padre dalla parte estrema del corridoio. Prendi la chitarra che ti insegno una canzone! Il ragazzo correva verso il ripostiglio dove riponeva lo strumento quando toccava farlo riposare e con un sibilo della voce rispondeva "si ma prendi l'armonica papà, se no non riesco a suonare". Anni dopo, quando decise di frequentare l'accademia di Guildford iniziò a comporre qualcosa di decente. "A volte ci vuole fiducia", pensava fra sè e sè in certe sere di magra e di luna storta, "saper suonare qualcosa può sempre salvarti se non la pellaccia, almeno la faccia". Le corde gracchiavano nelle sere dove tutti si ubriacavano al Cargo o al Bangalore express e Fabian ascoltava Sonny Boy, arpeggiando con disinvoltura nei punti dove riusciva a percepire una tonalità rinsecchita del vecchio Williamson. Il suo maestro-mentore Eric Roche era severo a lezione, a volte gli vomitava in faccia i suoi difetti. Eppure lui desiderava ancora affacciarsi dalla finestra, saltare la staccionata e andare via da qualche altra parte.

Londra. La grande, Londra l'immensità che nessuno potrà sciupare in due parole. Il Royal Albert Hall, il West End, Portobello road, Denmark street, il Koko e il Barfly. In quegli anni Roche gli insegnava tutto quello che c'era da imparare, dalla musica celtica al folk generazionale. Fabian si arrovellava lo stomaco sugli spartiti, iniziava a capire che il modo migliore per reincontrarsi al livello dell'anima sarebbe stato suonare semplice, come lo scorrere della pioggia o come il sole che sale e scende a seconda delle ore. Iniziò ad adottare più tempi pari nelle sue composizioni, più legati fra un accordo e l'altro, proprio per rendere fluido e convesso il suono. Mark Hutchinson della Rooksmere un bel giorno, gli offre la possibilità di incidere e lui la prende al volo. Nelle sere dove cercava di capire come inserire il contrabbasso su un accompagnamento di violino, Fabian Holland ripensa a suo padre che di domenica mattina faceva strisciare la puntina su un solco di Muddy Waters o di Skip Nehemiah James. Gli viene in mente quando Skip canticchiava "People, you know these hard times can't last us so long" e decide di lavorarci su. Recupera il testo di Hard Time Killing Floor Blues decidendo di dargli un tocco di perlata voluttà. La chitarra fraseggia col testo, allungando le finali e colorando le strofe. È un blues che odora di Scozia o di Irlanda per via della matrice timbrica della Lowden che recupera sul tono grazie al cedro e al mogano. È rispettata l'accordatura aperta e questo rende il brano amabile e inconfondibile.

Su quel vinile il piccolo Fabian ha trasfigurato i ricordi di una breve vita che ora si fa seria e bastarda. Riecheggiano ora le parole del padre in un pezzo come Like Father Like Son che come un legaccio di seta ritorna a quei tempi in cui iniziavano a fargli male i polpastrelli. Oppure tutte quelle smerigliature che Roche, ormai scomparso, gli insegnava e che il ragazzo prova a condensare in un pezzo come Little Boy Jonny. Ma a pensarci bene in questo debutto di Holland ci si può scovare Bristol, l'Abruzzo, le canzoni popolari inglesi, qualche strana storia personale o di altre vite raggrumate ad un filo libero, dissipate in una sfioritura lenta. Come ogni prima esperienza c'è da crederci solamente. A volte basta poco per scoprirsi venditori di storie e di emozioni, in un carcere d'avorio dove tutto è merce da poter girare al mercato delle pulci. Ascoltando Fabian ci giunge fievole una delicatezza che smarcata si sbraccia per farsi notare. Basterebbe accoglierla senza pregiudizi.


     


<Credits>