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alternative country, southern soul di
Christian Panzano (17/06/2013)
Esiste un felice addiaccio sulla terra e si chiama Houndmouth. Non crediate
di aver raggiunto l'eldorado del country rock e tantomeno un ristoro accogliente.
Sentirete di certo del brio e una forte caratterialità. Il quartetto è originario
di New Albany, Indiana e questo From The Hills Below The City è
il loro sincerissimo esordio discografico rilasciato dalla Rough Trade. Mi verrebbe
da pensare che se Robbie Robertson (The Band) fosse passato per lo studio di registrazione
dove sono state licenziate queste 12 tracce avrebbe riconosciuto qualcosa di suo,
un che di relativo al modo di comporre, più che al modo di scrivere che rimane
impareggiabile nel tempo. Ma il ritmo impresso va per certo oltre l'apparenza
classica.
Bisogna tracciare in bella vista le linee pop di Casino
(bad things) e il rotolante blues di Ludlow
per capirci qualcosina in più. Sono brani che rispettano le radici grazie ai ritmi
sincopati e, raccogliendo i risultati dei refrain, strizzano l'occhio a qualche
strofa passabile, accettando che la gola graffi dopo un verso urlato bene. Sono
pezzi pieni di cuore Hey Rose, Krampus,
Long You're at Home, l'anello vincente del
lotto, che giocano con l'hillbilly più sicuro, dai cori che sostengono gli a soli
lasciati liberi di sognare alle melodie più pacate, quasi flemmatiche, à la Palace
Brothers meno "fa da te". Ecco, se proprio dovessi definire dei contesti,
direi che i riferimenti più attuali potrebbero essere gli Uncle Tupelo di No Depression
o l'alba imperitura dei Wilco. Sostanzialmente sulle onde sonore del decano Jeff
Tweedy. Piuttosto, trattandosi di esordio, proviamo a far finta di non aver sentito
mai nulla di country e chiudiamo gli occhi per goderci brani come Penitentiary
o Comin' Round Again, ma pure nella migliore
delle buone intenzioni è dura non farsi scappare qualche citazione.
Qui
la lezione di Seeger, Hornsby, The Band o lo swamp dei Creedence Clearwater Revival
pare tirarsi su come un bambino di nove mesi alle prese con l'equilibrio, tra
lo stupore e l'ingenuità, dalle misure imperfette e volitive. Dando una rapida
occhiata alle biografie e ai volti di questi bravi ragazzi si direbbe che in loro
riviva il soul della Stax-Volt come gli etimi sudisti, il bluegrass d'antan di
Williams come la percussività delle trame boogie. Tutto vero e autentico e senza
correre il pericolo di confondere e confondersi, gli Houndmouth faranno sicuramente
un secondo album più bello del primo e un terzo album più bello del secondo, ma
è un rischio che, come musicisti loro e come ascoltatori appassionati noi, potremo
tranquillamente accettare, visto il bellissmo esordio.