Garrett Lebeau
Rise to the Grind
[
Music Road Records
2013]

www.garrettlebeau.com


File Under: country soul serenade

di Fabio Cerbone (15/06/2013)

Voce di velluto, docili chitarre bluesy e un minimalismo soul che cerca costantemente di posare i ritmi, la presenza di Garrett Lebeau è quanto mai riservata e fuori dal coro dell'attuale scena musicale, anche di impostazione Americana. L'accostamento è a tutti gli effetti forzato, ma suggerito da questo debutto per la Music Road, etichetta del texano Jimmy Lafave, che ha fortemente creduto (e si è di conseguenza invaghito) delle atmosfere sensuali, del groove pigro e affettato che investe le ballate di Lebeau, prontamente accostate, con poca fantasia critica, ad un ibrido intrigante fra JJ Cale e Al Green. Non è per l'appunto allineato alle tendenze dei compagni di etichetta (Kevin Welch, Slaid Cleaves e Sam Baker tra gli altri), il barbuto cantore di Crazy World e Broken Down Dream, morbide carezze soul attraversate dal caldo hammond di Red Young e dal battito discreto sui tamburi di J. J. Johnson (membro della Tedeschi Trucks band), pilastri portanti del suono ricreato in studio dal produttore e bassista Roscoe Beck (Leonard Cohen e Robben Ford nel suo personale curriculum).

Sono lo scheletro di una formazione che insegue costantemente l'atmosfera, il groove più intrigante, il vestito più adatto all'elegante vocalità del protagonista. Cresciuto in una riserva indiana del Wyoming, tribù Shoshone, e arrivato alla passione per songwriting e musica in età realtivamente adulta, Lebeau sembra riflettere questo suo isolamento anche nella definizione del proprio gusto musicale: Rise to the Grind è infatti un disco che rifugge lo spirito dei tempi e prova a ricercare unicamente una precisa identità personale, anche a costo di adottare uno stile monolitico. È lo scotto maggiore che deve pagare questa sequenza di brani, tutti in qualche modo attraversati da una comune attitudine: qualche timidissima digressione funky in Blue Eyed Girl e When Love was new, l'armornica dell'ospite Guy Forsyth in Eyes on You, i continui svolazzi dell'organo (una parte dei brani è stata registrata con una diversa formazione, Matt Hubbard e Stefano Intelisano a scambiarsi il ruolo all'hammond) e lo stesso Lebeau che giostra discreti accenni di chitarra solista mai sprecando una nota, qui davvero debitore della lezione del citato Cale.

La formula è a dir poco affascinante ad un primo impatto, quasi accompagnando per mano l'ascolto, suscitando rimandi ed eredità stilistiche nemmeno così nascoste, ad esempio nelle gemelle Dark of the Night e Darkness (Bill Withers probabilmente ringrazia e benedice il discepolo...), ma a lungo andare la mancanza di uno scatto a latere, di un sussulto, di un tentativo qualsiasi di uscire da questa ricerca formale trasforma Rise to the Grind in un'esercizio di stile un po' fine a sé stesso, qualcosa a cui guardare con rispetto per la sua passionale, ostinata unicità, eppure eccessivamente ingessato nei suoi affetti musicali.


    


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