File Under:Americana
2.0 di
Fabio Cerbone (05/02/2013)
La
risposta americana (sia in senso strettamente geografico, sia in quello stilistico)
all'incredibile successo dei Mumford & Sons, arriva da Brooklyn e si chiama The
Lone Bellow, un trio di musicisti trapiantati a New York ma con profonde radici
sudiste. L'omonimo esordio cala l'asso di un folk rock dai toni malinconici e
gospel, dove le caratteristiche del "nuovo movimento acustico" prendono
le strade dell'Americana e del country più ecumenico. Inevitabile l'accostamento
con la famiglia Mumford: le dinamiche dell'apripista Green
Eyes and a Heart of Gold, quell'estasi pop che si incastra sui saliscendi
della strumentazione di derivazione roots, ha tutte le credenziali per aizzare
facili paragoni, mentre la dolcissima Tree to Grow
scivola lungo il crinale di un folk più ingentilito e armonioso.
Si, lo
so cosa state pensando, questione di pigrizia critica e non posso fare a meno
di sentirmi in colpa, ma qui carta canta: Zach Williams verrà pure dalla
Georgia e non dai sobborghi di Londra, ma la sensibilità e l'approccio alla materia
tradizionalista è figlio di quest'epoca, fra solenni intrecci vocali con Brian
Elmquist (chitarre) e Kanene Dohehey Pipkin (mandolino) e un agrodolce aria folkeggiante
che non si discosta dalla imperante tendenza. Il groppo nella gola di Williams,
quella sua inguaribile inquietudine acustica che assume toni fra il religioso
e l'intimista, gli deriva, come raccontano tutte le cronache biografiche, da tragedie
personali (un grave incidente alla moglie nel 2005 lo spinge verso il songwriting,
per esorcizzare il dolore), mentre l'incontro con il trio The Lone Bellow è stata
la chiave di volta per esternare tali esperienze. Non che i risultati siano disprezzabili,
perché non c'è davvero nulla che non possa catturare al volo l'ascoltatore fra
le tenerezze di Two Sides of Lonely e le preghiere
innalzate al cielo in You Never Need Nobody,
il sobbalzare pianistico di You Can Be All Kinds of Emotional
e il walzer languido di Looking for You, soltanto
che l'effetto immediato, accattivante di questo debutto andrebbe giudicato con
quella razionalità che ne svelasse un po' anche la furbizia.
Prodotto
con Charlie Peacock e arricchito da numerosi sessionist, cavalca le stesse praterie
dei Civil Wars, duo rivelazione del 2011 con i quali The Lone Bellow si sono fatti
le ossa in tour: dipendenze e sensibilità artistiche sono palesi, tanto quanto
una propensione per michiare pop, tradizione e scuola di pensiero indie rock che
li accomunano ad altri giovani eroi del genere come i Lumineers. Se questi nomi
vi dicono qualcosa, allora non avrete remore di sorta nell'abbracciare la frizzante
melodia rurale di You Don't Love Me Like You Used To e persino l'inaspettato
scatto rock di The One You Should've Let Go,
nonostante le moine e gli insistenti singalong di Teach
Me to Know e Bleeding Out ogni tanto facciano pensare più alla
fasulla vena country di gente come i Lady Antebellum che non alla nuova rivelazione
Americana di cui si va leggendo in giro.