John Murry
The Graceless Age
[
Bucketfull Of Brains
2012]

www.johnmurry.com
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File Under: songwriting

di Gianfranco Callieri (13/11/2012)

How alike are the groans of love to those of the dying. Malcolm Lowry, "Sotto il vulcano" (1947)

Basterebbero le citazioni letterarie di cui è cosparso a rendere interessante The Graceless Age, secondo album di John Murry dopo World Without End (realizzato a quattro mani con Bob Frank nel 2006), e non perché un po' di riferimenti "nobili" possano, da soli, rendere automaticamente appetibile un lavoro qualsiasi. Il fatto è che, ascoltando queste dieci canzoni a lungo meditate, provate, spacchettate e ricomposte (le registrazioni del disco sono iniziate otto anni fa, e Murry è stato fino all'ultimo indeciso se pubblicarle in questa versione o in un'altra, dal missaggio differente), è impossibile non riconoscere uno di quegli artisti, appunto alla Malcolm Lowry, intenti a sovrapporre arte e vita con le stesse dosi di senso della predestinazione e abbandono fatalista. Il risultato è un disco, e un gesto artistico, straziante, irregolare, stracolmo di idee e confusione, bruciante come una delle rabbiose confessioni di Dan Stuart, ruvido, intenso e graffiante come i migliori album degli American Music Club.

Non a caso ad aiutare Murry in sede di produzione c'è Tim Mooney, che degli AMC fu il batterista (ed è scomparso, purtroppo, prima di poter ascoltare la redazione definitiva dell'album), e difatti il suono spoglio e desolato della conclusiva Torn Three In The Garden (proprio il pezzo di Derek & The Dominoes) o il bordone rockista dell'ipnotica Southern Sky ricordano da vicino l'esistenzialismo crepuscolare declinato in chiave rock del gruppo di Mark Eitzel. Essenzialmente, The Graceless Age è un disco di canzoni, dal proverbiale portamento dylaniano e introspettivo di una The Ballad Of The Pajama Kid contrappuntata dalle sfumature della lap-steel allo psicodramma elettroacustico deragliante in scarica di feedback della meravigliosa Things We Lost In The Fire (ispirata, non solo nel titolo, dal folk onirico dei Low), ma ogni volta arrangiate ricorrendo a un piccolo arsenale di cambi di prospettiva rispetto alla loro sostanza "classica": qualche rapsodia elettronica a confondere le carte di un country-rock altrimenti assai tradizionale (California), un sorprendente chorus power-pop tra Stevie Nicks e Sheryl Crow ("This is isn't love / But I need it just the same", cantato da Jana Misener dei Giant Bear) a scombussolare gli incandescenti assoli di sei corde di un indie-rock da manuale (Penny Nails, con tanto di riferimenti all'austriaco Thomas Bernhard), un'impennata chitarristica alla Crazy Horse per squarciare l'apparentemente laconica elucubrazione in stile Bill Fay di un pezzo dedicato al messicano Jesús Malverde, "il santo degli spacciatori", una figura quasi leggendaria del folklore dello stato di Sinaloa (¿No Te Da Ganas De Reir, Sènor Malverde?).

A strisciare in ogni nota e in ogni particolare ci sono il cattolicesimo tormentato dell'autore, una specie di continua autoflagellazione condita dai miti ancestrali del Sud degli Stati Uniti dove ricorrono echi di Walker Percy, William Faulkner e Graham Greene, e una cronica incapacità di accettarsi e di amarsi che diventa quasi soffocante nelle fantasie suicide di If I'm To Blame (in cui Murry si definisce "così gentile / e così pieno di schifosa merda"), un sussurro agonizzante dalle ricercate venature soul. Uno schizzo di vita e insicurezza, insomma, una frazione di diario intimo (dimensione sottolineata, tra un brano e l'altro, dal costante apparire di dialoghi frammentari e messaggi da segreterie telefoniche) culminante nei quasi dieci minuti per voce, pianoforte, cori e violini di Little Colored Balloons, scritta dopo una quasi letale overdose di eroina. In The Graceless Age compaiono, a vario titolo, Chuck Prophet, l'ex Go To Blazes Tom Heyman e Holly Cole, ma poco importa. Protagonista unico, assieme alla propria debordante autobiografia, è John Murry, poeta laureato, principe in stracci e sovrano senza regno di un'epoca forse "priva di grazia" eppure, grazie ai pensieri e ai suoni e alle parole, da qualche parte vicino alla redenzione.


    


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