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country
rock, Americana di
Davide Albini (25/09/2013)
David Newbould concepisce le sue canzoni come il risultato dei suoi spostamenti:
come dargli torto, visto che la biografia del musicista, canadese di Toronto,
è davvero un simbolo del vagabondaggio tipico di certo immaginario nord-americano.
Appena maggiorenne si stabilisce a New York, inseguendo i sogni di rock'n'roll
di quell'età, quindi scopre la canzone d'autore e la tradizione, spostandosi ad
Austin, luogo ideale per conoscere e farsi conoscere nel circuito, infine dal
2009 trova casa a Nashville, dove risiedono l'industria che conta e i musicisti
migliori sulla piazza, con i quali comincia a misurarsi. Lo avevamo scoperto grazie
a The Long Way Home, un disco live che riuniva in parte inediti e in parte il
meglio dei precedenti Ep pubblicati in Texas, prima del vero e proprio esordio
di studio, che oggi trova l'ideale seguito con Tennessee, forse
l'album della definitiva maturazione di Newbould.
È in effetti un convincente
prodotto di Americana, dove ballate elettriche e un certo profumo di heartland
rock si incontrano con la campagna alternative country, mettendo d'accordo la
musicalità di Ryan Adams con la pelle dura di storyteller alla Chris Knight. Sapore
di polvere e strada, chitarre sudiste, sonorità roots ma con un occhio di riguardo
per la melodia e quei "tempi medi" che hanno spesso fatto la fortuna del genere.
Si comincia con una Always Coming Home dal
forte accento rurale (starebbe bene in un lavoro di Lyle Lovett) e si sconfina
subito nel timbro stradaiolo di Don't Give Me your Heart:
lo stile di Newbould è inconfondibile per albero genealogico, capiamo subito da
dove arriva la sua ispirazione, senza per questo trovarci di fronte ad un clone
senza personalità. Tutt'altro, la produzione di Ben Strano (ha lavorato,
guarda caso, con Chris Knight e Dan Baird, quest'ultimo presente nelle sessioni
in un paio di episodi) mi pare sia riuscita nell'intento di non frenare troppo
la spinta del songwriting di Newbould, un po' malinconico e romantico nelle ballate,
dominate dalla limpida pedal steel di Dan Dugmore (James Taylor, Linda Ronstadt),
più sfrontato quando si tratta di alzare il volume delle chitarre e sfoderare
un deciso passo rock.
Nel primo caso si fanno notare soprattutto i duetti
con la moglie Rose Falcon (anche co-autrice) e con l'ospite Kalisa Ewing, tra
una dolce Drifting Award e la desolata Down
for Your Love. Nel secondo caso sale in cattedra un suono più pimpante,
che sfrutta i crescendo della voce di Newbould, forse non eccezionale come estensione,
eppure espressiva nella sua tensione in Lucinda
(la ballata elettrica più bella del disco) e You're With Me e Don't
Give Up on Love. Tra le finezze di Tennessee infine vale la pena di
citare la lunga cavalcata di It Can Always Be Worse,
country rock epico che parte con una vaga citazione di The Weight e finisce dalle
parti del Joe Ely più appassionato, con fiddle, steel e chitarre a duellare. Un
bel nome da ricordare nella lunga lista degli outsider di questo 2013.