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Nashville renegade di
Davide Albini (20/03/2013)
Strano
personaggio Phil Lee. D'altronde, mi è bastato guardarlo sulla copertina
dell'ultimo The Fall and Further Decline of The Mighty King of Love:
una specie di incrocio fra un pirata dei Caraibi (più modello Keith Richard
che vero pirata...) e un cowboy di Nashville (dove effettivamente risiede), che
deve averne vissute tante, ma senza abbandonare mai il sorriso e l'ironia che
contraddistingue la sua musica. A cominciare magari da quella ragazza un po' "prosperosa"
e interamente tatuata che lo abbraccia sul divano. Sembra una fotografia degna
di un "medicine show". Sapete, quei carrozzoni itineranti con fenomeni
da baraccone e strani soggetti raccolti sulla strada. Phil Lee ha una storia un
po' simile: giramondo nato in North Carolina, sballottato da costa a costa facendo
il batterista e il songwriter a tempo perso, ma soprattutto un sacco di lavori
umili per tirare a campare. Ad un certo punto è finito anche al volante di un
tour bus per Neil Young e i Crazy Horse, con i quali ha stretto amicizia, giurando
prima o poi di registrare un intero disco con loro.
Nel frattempo è tornato
dall'Ovest, si è è messo a girare i locali di Nashville e si è finalmente ritagliato
il suo spazio: The Mighty King of Love, una specie di appellativo personale da
quello che si capisce, è stato anche il suo esordio nel 2000, a cui hanno fatto
seguito altri tre dischi compresa quest'ultima fatica, che vede alla produzione
Richard Bennett, chitarrista molto stimato in città (lo ricordo al fianco
di Steve Earle, Rodney Crowell, Mark Knopfler e un altro centinaio di grandi nomi)
che ha messo insieme per Lee una squadra di portatori d'acqua di eccezione, tra
cui la batteria di Ken Coomer (ex Wilco), il fiddle di George Bradfute e il basso
di Dave Roe. Da qualche parte fra un Bob Dylan più orientato al country (Cold
Ground) e quel tipico mix di rock'n'roll, swamp music e soul che si
può captare prendendo la strada per Memphis (sentite Blues
in Reverse, Chloe e I Like Everything),
Phil Lee è una sorta di hipster dell'Americana, come se Kerouac e Cassady avessero
un compagno di viaggio sul sedile posteriore che invece di soffiare in un sassofono
pizzica le corde di una vecchia Gibson.
Anche i personaggi e le storie
di Phil lee riflettono un po' questa filosofia "on the road" e ci ritroviamo a
inseguire le gesta di The Hobo's Girl o i
dinieghi di una donna in She Don't Let Love Get in the
Way, quest'ultima una irresistibile, stravagante ballata a tempo di
rumba. Lee non ha una timbrica vocale eccezionale, è sempre stato un po' il suo
punto debole, ma sa come trattare la materia roots di cui sono fatte le sue canzoni
(Every Time, Let Your Mind Roll On
e What Your baby wants, tra hillbilly e blues
rurale acustico) e soprattutto sfruttare i ribattezzati The Taryn Eagle Singers
(tra gli altri David Olney, Joy Lynn White e Peter Cooper) per abbellire con voci
sudiste ballate folk rock quali All You Need.
Niente stravolgimenti insomma, eppure questa mi pare proprio vera musica Americana
e se vi piacciono personaggi alla Todd Snider qui c'è pane per i vostri denti.