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Americana, poetry rock di
Fabio Cerbone (10/06/2013)
Quello che in apparenza doveva essere un progetto estemporaneo, sembra oggi avere
preso una forma più consistente: il collettivo, così potremmo definirlo, Cold
Satellite firma una seconda opera dalle ambizioni musicali più spiccate rispetto
all'omonimo esordio del 2010, che peraltro celava ancora i suoi intenti dietro
la figura di Jeffrey Foucault. Rimossa quindi la centralità di quest'ultimo,
Cavalcade è un disco che avvalora di più l'aspetto di mediazione
fra parole, musicisti e arrangiamenti, lo stesso per cui è forse nata questa creatura,
grazie proprio al contributo di Billy Conway (ex Morphine) ai tamburi, dell'ottimo
David Goodrich alle chitarre e di Alex McCollough alla pedal steel. Il sodalizio
artistico con la poetessa Lisa Olstein (Radio Crackling, Radio Gone
e Lost Alphabet le raccolte che l'hanno rivelata al pubblico americano,
la seconda della quali si è guadagnata le lusinghe del Library Journal come 'Best
Poetry Book of the Year') ha seguito un percorso meno improvvisato, dove frammenti
incompiuti e poesie vere e proprie sono state fatte filtrare dalla sensibilità
dei musicisti.
Nel caso del debutto si trattava di un lavoro più enigmatico,
qui invece Foucault ha chiamato ad uno sforzo maggiore la band, compattando il
sound e cercando di volta in volta di interpretare le intenzioni della Olstein,
in un'esperienza che assumesse un linguaggio di sintesi. Non è facile come operazione
e non tutto forse riesce alla perfezione, anche perché continua a coesistere l'ambiguità
di "canzoni" nate al di fuori del processo creativo tipico di una rock'n'roll
band. Sta di fatto che, dovessimo solo fermaci all'aspetto musicale, senza testi
alla mano, Cavalcade resta un disco umorale e a tratti spigoloso, anche paragonato
allo stallo in cui si era infilato lo stesso Foucault con le sue pubblicazioni
più recenti. I fremiti rock che spazzano l'aria in Elegy
( In A Distant Room) e nella rabbiosa Silver
Whips, dalle trame quasi grunge, il taglio stradaiolo e southern di
Elsewhere, le spirali blues psichedeliche
di Tangled Lullaby, il lento macinare boogie di Necesarry
Monsters sono segnali chiari di un'ispirazione diversa, come se Foucault
riservasse ai Cold Satellite la sua natura più irriverente, lasciando un po' in
disparte il ruolo del raffinato artigiano folk, erede di John Prine.
Tutto
ciò con la precisazione che il respiro Americana della title track e i tremolii
country soul di Careless Flame sono qui a
dimostrare che non si tratta certo di una giravolta di stile: insomma, siamo ancora
saldamente dentro territori riconoscibili, questa volta con il vantaggio non indifferente
che la voce di Jeffrey Foucault appare più convinta, forse avvantaggiata dall'immedesimarsi
con i versi della Olsen. Come anticipato, non è sempre immediato intuire l'intreccio
fra i due mondi, ma anche senza una bussola si intuisce dall'espressività di Foucault
in Bomblet e Glass Hands, ballate dai
toni dark e inquieti, che Cold Satellite è un gesto che comincia ad assumere una
sua precisa identità artistica.