Scud Mountain Boys
Do You Love the Sun
[
Ashmont records
2013]

www.scudmountainboys.com


File Under: do you remember alt-country?

di Fabio Cerbone (09/09/2013)

C'era una volta l'alternative country: pare sia ancora in giro, più o meno in salute non è chiaro stabilirlo. Non ci siamo sbagliati dunque, ma dovessimo riferirci ad una presunta (e sempre esistita nei clicli e ricicli del rock'n'roll) età dell'oro, allora dovremmo per forza tornare alla metà degli anni Novanta, quando il "Vaso di Pandora" della provincia americana si scoperchiava e una generazione di punk rocker cresciuti con il suono dell'underground scopriva le gioie bucoliche del passato e le rivisitava con un'attitudine naif e sincera. In quel grovoglio di band post-Uncle Tupelo (il big bang del genere, non c'è dubbio) c'erano anche quattro ragazzi di Northampton, Massachusetts, che abbracciavano il lato più languido e romantico del genere, una versione agreste di quello che avrebbero potuto combinare band come Red House Painters e Spain.

Erano gli Scud Mountain Boys di Joe Pernice, in seguito protagonista di una rapida svolta, elegante e pop, che lo avrebbe portato alla creazione dei Pernice Brothers con il fratello Bob, così come ad altre strade secondarie e progetti durati lo spazio di un album (chi si ricorda degli ottimi Chappaquiddick Skyline?). Un esordio addirittura su cassetta, un paio di lavori indipendenti e oscuri, quindi la firma per la Sub Pop, possibile trampolino di lancio per diventare punta di diamante del movimento. Massachusetts uscì nel 1996, fece parlare qualche addetto ai lavori e i più incalliti sostenitori del verbo alt-country, come si usava abbreviarlo, ma rimase un oggetto di culto. Talmente di culto che dopo diciassette anni Do You Love the Sun può presentarsi a noi come una sorta di ritorno "mitizzato", piccolo "miracolo" di una band dimenticata: è la follia discografica di questi anni che può permettere agli Scud Mountain Boys una simile premessa, quando un tempo sarebbero rimasti una nota a margine.

Ben inteso, nessuno disconosce l'importanza storica e il valore del gruppo, così come il talento che Joe Pernice ha messo in mostra negli anni con le altre sue formazioni, ma il soffio delicato di Do You Love the Sun, il brano, e così la precarietà acustica di Double Bed o il piano sfibrato che accompagna Learn to Love Him sono repliche di un passato che è stato già scritto e catalogato, ballate esangui che profumano di un country elegiaco e distante dalla scorza tipica di altre band. Gli Scud Mountain Boys ripartono esattamente da dove si erano interrotti: l'operazione ha il suo fascino, ma evidenzia anche tutti i suoi limiti, con la steel di Bruce Tull a spargere immancabili profumi di cosmic country alla Gram Parsons e con le tracce non cantate da Perince (i tratti western di Orphan Girl, You're Mine) a sobbarcarsi il volto più rurale del gruppo. Un disco in sé anche omogeneo, che lavora però soltanto sulla forma, compiacendosi della propria storia passata. Meglio recuperare dagli scaffali Massachusetts, il quale, non doveste conoscerlo, potrebbe farvi innamorare di questo suono.


     


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