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freak
americana di
Fabio Cerbone (06/07/2013)
Come se non bastasse la copiosa produzione con i Gourds (una dozzina di dischi,
a ritmo quasi regolare, partendo dall'esordio del 1997), e persino un album solista
ormai dimenticato (Butermilk & Rifles del 2002), Kevin Russell ha trovato
il tempo per un progetto parallelo, sotto la cui ombra riparare canzoni rimaste,
per forza maggiore, nei cassetti. Non si tratta però di avanzi né tanto meno di
abbozzi inconpiuti, ma qualcosa di diverso e suggestivo, una valvola di sfogo
che ribadisce una volta di più la fantasia del musicista texano di Beaumont, un'anima
hippie e decisamente freak imprigionata in un mare di tradizione country rivista
e corretta con le armi dell'ironia.
Il nome d'arte di questa avventura
è Shinyribs, al secondo capitolo dopo l'interessante Well After Awhile
del 2010, ma alla resa dei conti sembra soltanto una scusa per non inflazionare
troppo la principale attività dei Gourds: le affinità musicali sono infatti evidenti
al primo ascolto e anche la presenza dell'amico Keith Langford alla batteria non
fa che confermare tali analogie. Il quartetto è completato dalla vivace presenza
delle tastiere di Winfield Cheek e dal basso di Jeff Brown, "compagni di
sventura" che assecondano Russell nelle sue regolari esibizioni a nome Shinyribs
nei club di Houston e Austin. Stringato nei suoi trentacinque minuti di durata,
eppure capace di sintetizzare perfettamente la filosofia del gruppo, Gulf
Coast Museum sembra attirare le attenzioni anche meglio del suo predecessore,
suggerendo una freschezza compositiva persino superiore alla principale attività
di Russell con i Gourds. Merito forse dei nuovi musicisti o di uno stile che negli
anni ha saputo via via scoperchiare apertamente le fissazioni di Russell: da una
parte le radici country più rurali (qui rimarcate in qualche modo dall'utilizzo
di mandolino e ukulele), dall'altra un affetto mai nascosto per il soul e la black
music in generale, cercando quindi un compendio attraverso arrangiamenti spesso
gioiosi, variopinti, una sorta di versione da "comune" alternative country
della Band di Robbie Robertson e Levon Helm.
Accade ad esempio nell'intruglio
funky swamp che invade Texas Talking e Bolshevik
Sugarcane o quando l'organetto conduce a sud i ritmi di Take Me
Lake Charles. Meglio ancora riesce a fare Sweet Potato,
che al falsetto soul degno di Curtis Mayfield unisce pulsioni rock e un trascinante
finale elettrico in crescendo. È forse l'episodio migliore della breve raccolta,
che regala comunque altre piccole prelibatezze roots nella dolce cantilena di
Somebody Else così come nello stralunato
andamento retrò della ballata Limpia Hotel (Chihuahua Desert), palestra
per la caratteristica voce di Russell. Il quale non rinuncia ad una certa dose
di provocazione quando si imbarca nel bizzarro yodel di Song of Lime Juice
& Despair. Le vera chicca Gulf Coast Museum la riserva però nel finale, con
una versione per ukulele e voci (c'è anche Brandy Zdan ad accompagnare Shinyribs)
del classico del "philly soul" If You Don't Know Me By
Now (Harold Melvin & The Blue Notes, 1972...ma scommetto che tutti
si ricorderanno la versione di un cantante dalla chioma rossiccia): fidatevi,
funziona a meraviglia e riesce quasi a far dimenticare proprio la cover che i
Simply Red rispolverarono a suo tempo.