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Americana,
country rock di
Marco Restelli (19/09/2013)
Ammetto che uno degli strumenti (insieme alla pedal steel e all'armonica) che
mi ha fatto innamorare dei vari country, bluegrass e Americana, è il violino.
Strumento classico, certo, eppure inserito in questi contesti stilistici acquisisce
un'intimità ancor più profonda, riuscendo spesso a toccare le corde più nascoste
dell'anima. Al riguardo, c'è da dire che la giovane texana Amanda Shires,
giunta già al suo quarto episodio discografico (esordì nel 2007 con Being Brave),
sa suonarlo con notevole maestria, dosandolo al punto giusto ed unendolo ad una
voce sensuale il cui timbro ricorda un po' quello dell'adorabile Tift Merritt.
In questo Down Fell the Doves il talento di cui sopra è messo al
servizio di undici interessanti pezzi mentre, fra i vari musicisti che l'accompagnano,
ha voluto accanto a sé anche il neo marito Jason Isbell, alla chitarra.
La canzone d'apertura Look Like a Bird,
praticamente priva di ritornello e fra le più complesse di tutto il disco, evidenzia
subito il coraggio della donzella di voler proporre la propria musica senza fare
troppi calcoli. Segue subito la più accessibile, midtempo, Devastate
con le chitarre ed il violino che si uniscono a meraviglia, formando a volte quasi
un unico suono e offrendo una melodia accattivante. Notevole anche la ballata
Box Cutters dove la protagonista del brano
sogna ad occhi aperti e con paradossale serenità ai possibili modi per suicidarsi,
con un dark humor da brividi ("…go finally to sleep to rest a beautiful dream").
Il mood si fa ancora più scuro, con i riverberi più strani, in Deep
Dark Below, le cui liriche sono assolutamente coerenti col contesto
musicale ("Monsters are man that the devil gets in…it's usually the weak ones
he finds"). Piacevolmente inquietante direi. Nel bel mezzo del disco ci si imbatte
poi nella canzone regina dell'album, Wasted and Rollin',
che piacerà a tutti gli amanti della Lucinda Williams più arrembante e stradaiola,
specialmente nella valanga di schitarrate elettriche che inonda il finale.
Quanto
alla succitata somiglianza con la Merritt, questa diventa anche stilistica quando
la chitarra acustica acquisisce un ruolo primario, come nella dolcissima If
I o nella cullante The Drop and Lift,
ma soprattutto nella finale e un po' triste The Garden Song. Chiudo con
una curiosità. La sua passione per Leonard Cohen, dopo averla convinta a tatuarsi
sulla parte interna del braccio un verso della celebre Hallelujah, l'ha ulteriormente
spinta a dedicargli, nel disco, A song for Leonard Cohen.
Il pezzo spicca per la serenità che infonde nell'ascoltatore e per l'entrata in
scena di un piano sognante, ma non poteva essere altrimenti visto il personaggio
coinvolto, che di piano e di sogni è un maestro. A questo punto non mi rimane
che augurare alla Shires di riuscire a raggiungere la metà del successo del suo
idolo, vista l'ammirevole capacità dimostrata in Down Fell the Doves di saper
mescolare "l'orecchiabile" e al "mai banale e ricercato". La riascolterò con piacere.