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southern
accent from Canada di
Fabio Cerbone (28/08/2013)
L'atmosfera swamp blues sudaticcia ed elettrica di Holler
Like Hell, sei minuti e passa di divertito scambio ritmico fra la band
e il protagonista, introducono musica e immaginario di J.R. Shore, canadese
dalla fredda Calgary che ha letteralmente lasciato un pezzo di cuore nel Sud degli
States. Non è un dato che sorprende: non è la prima volta che ci capita di sottolineare
la capacità dei cugini del nord America di essere "più realisti del re", facendo
propri linguaggi, stili, cadenze di un rock delle radici con solide basi sulla
linea ideale che passa tra Nashville, Memphis e Austin. Sono queste le coordinatre
sulle quali si muove anche State Theatre, terzo lavoro solista di
Shore (l'esordio nel 2008 con An Impeccable Shine) e ottimo concentrato di country
rock d'autore e fragranze southern soul. La differenza sta nel fatto che J.R.
Shore ha studiato sul campo, trasferendosi qualche stagione fa direttamente a
Nashville, suonando in locali cittadini come il famoso Bluebird cafè e rubando
segreti e conoscenze a gente come Guy Clark e Buddy Miller.
Il suono secco
e rootsy di State Theatre lo conferma in pieno, trascinandosi dalle citate ambientazioni
swamp di Holler Like Hell e della seguente Addie Polk
verso la dolce malinconia pianistica di Poundmaker
(anche l'organo di Garth Kennedy ci mette del suo), un brano che potrebbe uscire
dalla penna di Jeff Black, altro outsider di talento del circuito Americana, o
ancora tra le sponde paludose di New Orleans in Charlie Grant e Jackie's
Odd, misto di gumbo alla Dr. John e tempistiche funky. In
M.S. St. Louis torna a soffiare la polvere del texas a tempo di walzer
country, appoggiandosi al violino di Mike Barber, mentre Spring
Training si attacca al solito intruglio di swamp rock e accenti sudisti,
che si sarà capito qui sono di casa. La band mostra duttilità e la produzione
evidenzia un sound colto dal vivo, denso e asciutto come si conviene al genere:
qui non ci sono voli pindarici e grandi folgorazioni, ma un interplay di classe
che si accompagna alle qualità spesso narrative e ironiche della scrittura di
J.R. Shore, uno che sfiora volentieri l'agrodolce portamento di Randy Newman (sentite
nel caso 146) prima di gettarsi nelle braccia
del maestro John Prine (The Ballad of Dreyfus
potrebbe averla scritta lui) e chiudere la scaletta con le scariche statiche di
Dayton Free, country blues su finta cornice da vinile.
D'altronde
la musica di J.R. Shore mastica sapori artigianali, ricordando personaggi affini
e messi ai margini come Kevin Gordon o Todd Snider (che tuttavia un disco come
State Theatre purtroppo non lo azzecca da tempo). Non foste convinti, il nostro
canadese ha aggiunto un intero bonus cd di cover, dove offre otto istantanee delle
sue ispirazioni: versioni oneste, a volte singolari altre più rispettose, che
spaziano dai Grateful Dead di Deal alla Band di W.S. Walcott Medicine
Show, anche se gli episodi che più commuovono sono una delicata Blue
Wing di Tom Russell, Sin City di
Gram Parsons e The Late John Garfield Blues di John Prine (…lo sapevo che
prima o pii sarebbe comparso) oltre ad una interessante lettura in chiave più
elettrica rispetto all'originale di For the Turnstiles
di Neil Young. Lo eleggiamo ufficialmente "outsider del trimestre",
tutto meritato.